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ALICE IN CHAINS Discografia

 

Gli Alice In Chains nascono a Seattle nel 1987, per iniziativa del chitarrista e cantante Jerry Cantrell. All'inizio per molti sono solo una brutta copia dei concittadini Soundgarden o Screaming Trees, ma ben presto il gruppo si dimostra il più genuinamente metal di tutta la scena dello stato di Washington. Completano la formazione il formidabile cantante Layne Staley, il bassista Mike Starr ed il batterista Sean Kinney. La ricetta sonora è piuttosto semplice: impiantare armonie vocali anni '60 su pesanti riff di chitarra in stile Black Sabbath.

Nel 1990 esce Facelift (***), che subito li proietta nelle parti alte delle classifiche americane. Sta per uscire Never Mind dei Nirvana e quindi anche gli Alice In Chains vengono inseriti nel calderone "grunge". Facelift è invece un drammatico e crudo album di metal moderno, che dona agli appassionati del genere due brani indimenticabili come We Die Young e Man In The Box, ma anche qualche passaggio a vuoto di troppo. Piace la vena psichedelica in canzoni quali Sea Of Sorrow e Love, Hate, Love.

Mentre gli Alice In Chains spandono attorno a sé una leggendaria cattiva fama, a causa della tossicodipendenza di Layne Staley e dell'alcolismo di Sean Kinney, esce un curioso ep completamente acustico. Sap (1992 - ***), rappresenta l'altra stella polare dello stile di Alice: la ballata in odore di folk. Le voci di Cantrell e Staley si rincorrono in maniera esemplare nelle bellissime Brother e Got Me Wrong, mentre in Right Turn vengono ingaggiate anche le voci di Mark Arm dei Mudhoney e di Chris Cornell dei Soundgarden.

 

In uno dei momenti migliori della storia del rock a stelle e strisce, esce il nuovo sabba elettrico chiamato Dirt (1992 - ****1/2). Si tratta dell'album destinato a donare gloria eterna agli Alice In Chains, ma anche di un disco che ne profetizza la tragica fine (ascoltate Rain When I Die per credere). Dirt è una sorta di concept che racconta la dipendenza, la solitudine e l'alienazione.

Il bello è che lo fa con brani spesso durissimi (Them Bones, Angry Chair, Would?), ma dotati di grande forza melodica. Le power ballad Down In A Hole e Rooster (quest'ultima dedicata al padre di Cantrell, morto nella guerra del Vietnam) completano il menù in gloria. Con l'assolo di chitarra di Junkhead, Jerry Cantrell si conferma uno dei guitar hero della propria generazione; mentre la voce di Layne ci porta a fare un tour degli inferi di sola andata.

Un secondo ep acustico, intitolato Jar Of Flies (1994 - *****), conferma il successo milionario della band. Mike Starr ha lasciato per troppo stress, sostituito da Mike Inez, già conosciuto come bassista di Ozzy Osbourne. Gli arpeggi malati di Rotten Apple e Nutshell sembrano preludere al solito disco da depressione cronica, ma questo ep contiene anche squarci di serenità (la jazzata The Swing On This, oppure la grandeur orchestrale dell'incredibile I Stay Away). Don't Follow ha un testo tristissimo e non riesce a diventare famosa, come meriterebbe il suo splendido arrangiamento folk; ecco che però gli Alice In Chains sfoderano il loro principale hit con la ritmica sincopata di No Excuses. A questo punto il mondo del rock è ai loro piedi.

Durante le registrazioni del successivo disco elettrico, il problema della dipendenza da eroina di Layne Staley esplode in tutta la propria gravità.
Quando Alice In Chains (1995 - ***) esce, il gruppo è letteralmente in pericolo di sopravvivenza. Si tratta del disco più cupo e più pesante della storia del gruppo. I riff sabbathiani di Grind e Brush Away trapano le orecchie come burro, mentre la voce di Staley si trasforma in un rantolo disperato che sussurra immagini sommamente sgradevoli e crudeli verso gli animali (Nothin' Song, Frogs, Sludge Factory).
 

Quando il comando lo prende decisamente Cantrell, le cose vanno un po' meglio, come nel caso delle ballate Heaven Beside You e Over Now. Alice In Chains sarà per sempre ricordato anche per la terrificante copertina (la gamba mancante del cane simboleggiava Staley?), per il riff micidiale di God Am e per l'accattivante singolo hard rock Again.

Quando gli Alice In Chains vengono invitati da MTV a realizzare un loro unplugged, il successo è già annunciato. Layne si presenta sul palco con gli occhiali neri ed i guanti per nascondere i buchi degli aghi (i tossici si rivolgono alle mani dopo aver martirizzato le vene delle braccia e dei piedi). La performance di MTV Unplugged (1996 - ****) è nonostante tutto ispirata e suggestiva. Si ricordano splendide versioni di Down In A Hole, Rooster, No Excuses, Sludge Factory, Nutshell, Got Me Wrong, Angry Chair e l'inedita The Killer Is Me.

Mentre si perdono completamente le tracce di Layne Staley, i fans si consolano con il secondo disco dal vivo, questa volta iper elettrico. Live (2000 - ***) raccoglie materiale d'archivio e si basa molto sul repertorio dei primi due album. Spicca sul resto lo splendido medley tra Man In The Box ed Angry Chair.

Il 5 aprile del 2002 Layne Staley viene trovato morto nella propria abitazione. Era deceduto diverse settimane prima a causa di un'overdose mortale di eroina; non certo una fine degna di una rockstar conosciuta in tutto il mondo. Jerry Cantrell reagisce a modo suo, facendo uscire l'ottimo album solista Degradation Trip (2002 - ***1/2) insieme agli amici Mike Bordin (Faith No More, Korn) e Robert Trujillo (Suicidal Tendencies, Metallica). La canzone Chemical Tribe rappresenta uno degli apici del Cantrell autore.

Quando nessuno se lo aspettava più, gli Alice In Chains tornano in pista con il nuovo cantante William DuVall. Black Gives Way To Blue (2008 - ***) è un discreto lavoro in cui però Cantrell decide praticamente di estromettere la voce del nuovo arrivato. La vocalità del leader viene raddoppiata ed assume gli inediti (per lui) toni malati di Layne Staley. L'allucinazione sonora è perfetta in particolare nel singolo Check My Brain. Durante il successivo tour il pubblico scopre che DuVall ha una propria personalità definita e che il repertorio dell'album è meglio di quanto sembrasse ad un primo ascolto. In particolare Private Hell entra di diritto tra le migliori cose del gruppo di Seattle.

 

I singoli molto classici Hollow e Stone aprono la strada a The Devil Put Dinosaurs Here (2013 - ***1/2), sicuramente un gran bel disco. Wiliam DuVall è finalmente il vero cantante principale del gruppo ed ha acquisito la necessaria sicurezza per trovare una propria personale interpretazione agli incubi scritti da Jerry Cantrell. Pretty Done, Voices, Hung On A Hook e Choke sono grandi canzoni, anni luce lontane dall'odierno panorama alternative rock.


  
 Lorenzo Allori