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ALLMAN BROTHERS BAND Discografia

La più incredibile storia del rock sudista inizia a scriversi nella cittadina di Macon (Georgia) nel 1969. La prima formazione della Allman Brothers Band è anche la più leggendaria e vede in pista due dei più famosi session men dell'epoca: il tastierista (qui anche cantante principale) Gregg Allman ed il prodigioso chitarrista Duane Allman. Insieme a loro un altro quartetto di fuoriclasse, formato da Richard "Dickey" Betts (chitarra, voce), Berry Oakley (basso), Butch Trucks (batteria) e J.J. "Jaimoe" Johanson (batteria). La musica della ABB è un cocktail micidiale di rock, blues, soul e country. La presenza della doppia batteria lascia immediatamente intuire gli sviluppi jazzati delle lunghe composizioni del sestetto.

Il primo album, Allman Brothers Band (1969 - ***1/2) è immediatamente un gran bel disco. Nella prima parte gli Allmans si divertono a declinare il loro personale modo di interpretare la materia blues, ma è nella seconda parte che lasciano davvero il segno: la souleggiante Dreams e la possente Whipping Post sono da allora pietre miliari della mitologia southern rock.

 

Passano pochi mesi ed i passi in avanti sono assolutamente evidenti. Idlewild South (1970 - ****) è già testimonianza perfettamente compiuta dello stile della band. L'organo di Gregg ricama su un ossessivo eppure poliforme tappeto ritmico, mentre i duelli tra la slide del fratello e la pulita solista di Betts sembrano dettati da sovrumana telepatia musicale. E' proprio Betts a dimostrarsi penna sopraffina con la sottovalutata Revival e con il peculiare jazz country strumentale intitolato In Memory Of Elizabeth Reed. Per il resto è da evidenziare la presenza in scaletta di due brani leggendari come Don't Keep Me Wonderin' e Midnight Rider. E' semplicemente essenziale la cover della mitica Hoochie Coochie Man di Willie Dixon.

La scena sudista comincia a far parlare di se tutto il mondo del rock e la consacrazione avviene con l'istituzione dell'importante festival di Atlanta. Live At The Atlanta Pop Festival (1970 - *****), uscito postumo nel 2000, registra la gloriosa esibizione degli Allmans nell'edizione del 1970. Sono le prove generali di ciò che avverrà di lì a poco, con in più l'eccitante ospitata della chitarra di Johnny Winter nella chilometrica Mountain Jam (una jam strumentale nata intorno al tema di There Is A Mountain del cantautore scozzese Donovan).

Anche Live At Ludlow Garage (***1/2) fa riferimento allo stesso periodo, ma viene penalizzato da una qualità audio non all'altezza. In questo album si trova la versione forse più lunga di sempre di Mountain Jam. Nel corso degli anni saranno pubblicati molti altri concerti risalenti all'anno di grazia 1970, tutti caratterizzati dall'inarrestabile verve strumentale del sestetto.

Mentre la popolarità di Duane Allman è alle stelle (suo l'immortale riff della Layla dei Derek & The Dominos), il suo gruppo si ritrova a suonare per una serie di incredibili serate al Fillmore East di New York City. Dalle registrazioni di quelli irripetibili concerti uscirà il disco dal vivo più bello della storia della musica (tutta). At Fillmore East (1971 - *****) è la stupefacente sfida di un manipolo di eroici musicisti alle leggi del pop. Pochi secondi e la ringhiosa slide del leader introduce una magica Statesboro Blues (Blind Willie McTell), doppiata dall'altrettanto incisiva Done Somebody Wrong (omaggio ad Elmore James, padre della slide blues). Il ritmo rallenta con una sofferta versione di Stormy Monday (T-Bone Walker, vera leggenda del blues texano), ma riprende quota con i quasi venti minuti di You Don't Love Me. Si tratta di un oscuro brano passato anche dal repertorio di Bo Diddley, che letteralmente viene trasfigurato dai riff all'unisono delle chitarre di Duane e Betts. L'improvvisazione Hot ‘Lanta, serve ad introdurre l'orgia conclusiva con gli oltre tredici minuti di In Memory Of Elizabeth Reed ed i devastanti ventitre dell'inno Whipping Post. Non si butta via proprio niente. Nessuno ad oggi ha fatto meglio, nessuno saprà farlo mai nemmeno in futuro.

Quando il vento è davvero in poppa, il destino si mette di traverso. Nel corso di tredici mesi sia Duane Allman, sia Berry Oakley periscono a seguito di incidenti motociclistici dalle dinamiche pressoché identiche. La band ne è ovviamente quasi distrutta e pertanto viene assemblato in fretta e furia un singolare album formato da brani provenienti dalle serate del Fillmore East e da canzoni in studio già pronte per il successivo disco. Ne nasce un aspettato successo, anche perché la chitarra di Duane Allman rimane pur sempre un bel sentire.
  Eat A Peach (1972 - ****) recupera dai concerti dell'anno precedente la mezz'ora abbondante di Mountain Jam, la tristemente profetica One Way Out (da allora una delle canzoni più eseguite dal gruppo in concerto) e la cover di Trouble No More (Muddy Waters). 

Anche le parti in studio sono però di altissimo livello, con la conferma della bella penna di Dickey Betts (Blue Sky e la invero un po' prolissa Les Brers In A Minor) e le ballate sentimentali di Gregg Allman (Ain't Wastin' Time No More, Melissa). Lo strano titolo del disco si dice derivi da una frase spiritosa pronunciata da David Crosby in presenza di Gregg Allman.

Un lungo tour in compagnia di The Band convince Gregg e Dickey a sposare la causa della doppia tastiera. Ecco che viene infatti ingaggiato il tastierista Chuck Leavell (poi anche collaboratore di lungo corso dei Rolling Stones) ed il bassista di colore Lamar Williams. Rimasto unica chitarra, Dickey Betts diventa il leader indiscusso del complesso, spostandone lo stile decisamente in territori simil country rock. Brothers And Sisters (1973 - ****) è l'album più venduto degli Allmans e lo è in virtù di un maggiore spazio assegnato alla melodia. Tra questi solchi si trovano almeno tre classici di Dickey Betts (la famosa Jessica, Ramblin' Man e Southbound) e la deliziosa Wasted Words di Gregg Allman. Nella riedizione deluxe del disco è stato aggiunto un buon concerto del periodo, Live At Winterland (***1/2 ), contenente forse la migliore versione di sempre proprio di Jessica. Sempre dallo stesso periodo proviene il monumentale quadruplo Live At Cow Palace (1974 - ****) che, nel proprio svolgimento vede la partecipazione di numerosi ospiti quali Jerry Garcia e Bill Kreutzmann dei Grateful Dead, nonché Boz Scaggs.

La dipendenza dalla cocaina di Gregg Allman riesce a disintegrare il gruppo, laddove non erano riusciti nemmeno i lutti. Win, Lose Or Draw (1975 - **1/2) è il primo passo falso della carriera della ABB. Perfino il classico strumentale firmato da Dickey Betts (High Falls) sembra non incisivo come in passato. Dopo l'uscita del brutto live Wipe The Windows, Check The Oil, Dollar Gas (1975 - **1/2) la band si scioglie, anche perché Gregg Allman spedisce in carcere il road manager del gruppo, scagionandosi da una fondata accusa di possesso di sostanze stupefacenti. Da questo momento i rapporti tra lui, Butch Trucks e Dickey Betts diverranno sempre più tesi.

La prima reunion avviene nel 1979 e vede il ritorno della doppia chitarra. David Goldflies (basso) e Dan Toler (chitarra) sostituiscono infatti Williams e Leavell.  Enlightened Rogues (1979 - ***) non è certo indimenticabile, ma riesce a proporre qualche discreta canzone (la strumentale Pegasus, Crazy Love, Just Ain't Easy).

Uno dei peggiori album della storia del rock si intitola Reach For The Sky (1980 - *) e distrugge definitivamente la credibilità di un gruppo leggendario come la Allman Brothers Band. Dovrebbero fare southern rock ed invece si trovano a galleggiare in ambiti decisamente pop. La delusione viene doppiata dall'altrettanto pessimo Brothers Of The Road (1981 - *), in cui viene testata un'inedita formazione a sette, con doppia chitarra e doppia tastiera.

Dopo il secondo scioglimento non sembra ci sia futuro per il gruppo, con i due leader occupati in esperienze soliste o semi soliste (i Great Southern di Dickey Betts). Invece una rinnovata formazione a sette elementi sarà destinata a rilanciare la carriera della ABB. Oltre agli storici Gregg Allman, Dickey Betts, Butch Trucks e Jaimoe, si aggiungono Johnny Neel (tastiere), Allen Woody (basso) e Warren Haynes (chitarra, voce). Si tratta di tre innesti di qualità sopraffina ed infatti Seven Turns (1990 - ***1/2) è disco pregevole, con nuovi classici della band come Gambler's Roll, Good Clean Fun e la title track.

Nonostante Woody e Haynes si impongano come i due musicisti forse tecnicamente più dotati della loro generazione, il successivo Shades Of Two Worlds (1991 - ***) è figlio di un leggero calo di ispirazione. Johnny Neel se ne è andato a cercar miglior fortuna ed il gruppo arranca dietro la leadership traballante di Betts. Resta il bell'effetto dell'iniziale End Of The Line.

Se in studio gli Allmans non sono in grande forma, dal vivo il 1992 è anno di grande livello. Lo dimostrano una serie di grandi live album.

An Evening With The Allman Brothers Band: First Set (***1/2) è vibrante ed elettrico, ABB Acoustic Los Angeles (****) è una mitizzata performance acustica, per anni introvabile perché venduta via posta solo agli iscritti del fan club, infine

Play All: Live At Beacon Theatre (1992 - ****1/2), molto più lungo, è l'ottima sintesi delle due parti. Semplicemente strepitosa la cover acustica del classico Come On In My Kitchen di Robert Johnson, così come il ripescaggio dell'antica Revival. Da quel momento, la seconda metà di marzo di ogni anno, la band occupa il raccolto Beacon Theatre di New York City per due settimane di concerti ricchi di ospiti e sorprese.

 

Il gruppo torna settetto con l'ingaggio del percussionista Marc Quinones. Le scansioni ritmiche, con due batterie ed una sezione di congas, sono degne adesso dei Santana anni '70. Where It All Begins (1994 - ***1/2) è il miglior disco in studio del gruppo post Brothers And Sisters. Molta farina di questo ottimo sacco deriva dalla classe di Warren Haynes, che regala alla band la purissima melodia sudista di Soulshine e spolvera di granitico hard rock le atmosfere country disegnate da Dickey Betts. La lunga title track e No One To Run With sono gli altri due classici contenuti in questa bella prova di maturità e di classe.

Il momento magico viene suggellato con il disco dal vivo An Evening With The Allman Brothers Band: Second Set (1995 - ****), i cui momenti forti sono una stranamente concisa versione di You Don't Love Me ed una strepitosa In Memory Of Elizabeth Reed completamente acustica.

Warren Haynes e Allen Woody lasciano il gruppo per fondare i Gov't Mule. Al loro posto vengono ingaggiati il bassista Oteil Burbridge (dal tocco molto funky) e l'enfant prodige della chitarra slide Derek Trucks (nipote del batterista Butch Trucks). Ormai il gruppo è però suddiviso in due clan con Dickey Betts che viene estromesso dal duo Gregg Allman / Butch Trucks. Peakin' At The Beacon (2000 - ***) è lo stanco commiato di Dickey Betts dalla creatura che ha saputo plasmare a sua immagine e somiglianza dopo la dipartita di Duane Allman. Si tratta dell'ennesimo disco dal vivo che niente aggiunge alla leggendaria fama del complesso.

La band si rialza per l'ennesima volta con il rientro in formazione di Warren Haynes. Hittin' The Note (2003 - ***1/2) è disco di buon livello anche se troppo lungo. La fase compositiva è quasi del tutto nelle mani di Warren Haynes, che non conosce certo il vocabolario country rock di Dickey Betts; ecco dunque una sinfonia rock forte e sicura con High Cost Of Low Living, Desdemona, Old Before My Time e la Rockin' Horse già incisa con i Gov't Mule nel 1995. Ci sono poi belle cover di Woman Across The River e Heart Of Stone (Rolling Stones) e l'ennesimo brano strumentale di area fusion (Instrumental Illness).

La Allman Brothers Band si trasforma a questo punto in una band che evita di incidere in studio, ma che continua a produrre scintille in sempre più infuocate esibizioni live. Le performance di Warren Haynes e Derek Trucks vengono considerate quasi allo stesso livello di quelle di un tempo da parte di Dickey Betts e Duane Allman. One Way Out: Live At Beacon Theatre (2004 - ****) è la summa di quanto detto. Grande doppio dal vivo, con spettacolari stacchi strumentali, soprattutto nel nuovo e nuovissimo repertorio. Inevitabilmente, sui brani storici, si fa sentire la mancanza del tocco dei chitarristi di un tempo. Haynes e Trucks però riescono a sopperire con una tecnica probabilmente ancora superiore a quella degli originali. Worried Down With The Blues, Dreams, Wasted Words ed Instrumental Illness entrano di diritto nella compilation ideale delle migliori performance live della ABB.

A&R Studios 1971 (2015 - ***1/2) è un piccolo tesoro proveniente da una registrazione radiofonica. Gregg e Duane Allman salgono sul palco per duettare con King Curtis e con Delaney & Bonnie. Ne viene fuori una gigantesca jam (torrenziale Only You Know And I Know) con in fila le caratteristiche della ABB, ma anche dei Derek & The Dominos (che in fondo proprio da Delaney & Bonnie presero origine).
 

Tanto blues e soul tra questi solchi, con una prima parte che è sostanzialmente acustica (belle Come On In My Kitchen di Robert Johnson o la resa del tradizionale Goin' Down The Road Feelin' Bad, già nel repertorio dei Grateful Dead) ed una seconda parte in cui fa faville la leggendaria slide di Duane. La registrazione è di ottimo livello ed il disco è da avere anche soltanto per autentiche leccornie come The Love Of My Man e Twelve Bar Blues (Don't Want Me Around).

Lorenzo Allori