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BLACK SABBATH Discografia

Nel 1969 andava di gran moda un certo jazz elettrico, che poi sarebbe divenuto fusion vera e propria. Anche la band londinese degli Earth suonava questo tipo di musica con pochissima fortuna. La visione di qualche film horror di serie B in più del dovuto fece scattare negli Earth la voglia di creare una nuova creatura musicale capace di portare di peso, in pochi anni, l'hard rock tra le braccia dell'heavy metal. La prima formazione dei Black Sabbath è quella leggendaria che vede il leader Tony Iommi (chitarra) affiancato dal basso di Geezer Butler, dalla batteria di Bill Ward e dalla voce malata di Ozzy Osbourne.

Il primo album viene registrato nel 1969, ma esce soltanto nei primissimi mesi dell'anno successivo, aprendo alla grande il decennio d'oro dell'hard rock britannico. Black Sabbath (****), fin dalle sue prime note, fa sprofondare l'ascoltatore in un'atmosfera di blues ipnotico e perverso. La voce maniacale di Ozzy, i riff ribassati del diabolico Iommy e la batteria jazzy di Ward sono il marchio di fabbrica di una formazione che, come accadeva soltanto all'epoca, ha imparato subito ad essere davvero grande. Non deve essere sottostimata l'opera del basso parlante di Geezer Butler, uno dei pochissimi bassisti storici ad essere la vera chiave di volta del sound di una band (mi vengono in mente oltre a lui solo Jack Bruce dei Cream e John Entwistle degli Who). Le campane a morto della title track, il riff "sudista" di The Wizard ed altri classici come N.I.B. o la cover della oscura Evil Woman degli americani Crow, sono validissimi motivi per innamorarsi subito dei Black Sabbath. I primi lavori del gruppo di Birmingham non sono affatto metal, ma legioni di metal kids hanno studiato queste canzoni come fossero libri di testo.

Il sound della band diventa ancora più pesante con il capolavoro Paranoid (1970 - *****). Come dei novelli Robert Johnson, i quattro ragazzi inglesi si lasciano imprigionare dentro la loro stessa leggenda. Creano un'iconografia orrorifica figlia dei loro eccessi e di una paura atavica verso il soprannaturale. War Pigs, che inaugura il disco, è una delle canzoni più belle e maestose degli interi anni '70 e se questo non vi basta a definire Paranoid un album da cinque stelle, ecco il riff superlativo di Iron Man o la sofferta ballata Planet Caravan. Tutto l'album pullula di classici del rock (Electric Funeral, Hand Of Doom, Fairies Wear Boots), ma forse qualche parola in più deve essere sprecata per la title track, ancora oggi un esempio perfetto di come raccogliere immensi consensi commerciali con la pura qualità.

Il periodo d'oro continua con un disco che ha il solo torto di arrivare dopo il capolavoro assoluto Paranoid. Master Of Reality (1971 - ****) è forse l'album che più compiutamente descrive lo stile dei Sabbath di Ozzy. Lo è perché contiene l'impressionante cavalcata proto metal intitolata Children Of The Grave (da sempre la mia canzone preferita del gruppo) e poi perché Sweet Leaf, After Forever o Into The Void sprigionano un'aurea così malvagia, che è difficile non rimanerne soggiogati. Una menzione particolare spetta a quel gioiellino di fingerpicking acustico rappresentato dalla strumentale Orchid (per la serie non di sola potenza vive Tony Iommi).

 
L'ascesa della band conosce un infinitesimale arresto con il comunque più che buono Volume IV (1972 - ***1/2). Qui le canzoni da consegnare alla leggenda rispondono ai nomi di Changes, Supernaut e Snowblind. Quest'ultima in particolare scatena molte polemiche per gli espliciti riferimenti all'uso di cocaina. Ormai però i Black Sabbath non fingono più. Le loro maschere sono diventate più vere di loro stessi.

E mentre Ziggy Stardust muore sul palco londinese dell'Hammersmith Odeon di Londra, Ozzy Osbourne decide di rimanere vivo in eterno. E la cosa non è così tanto male se poi escono fuori pezzi del calibro di Tomorrow's Dream, Cornucopia o Saint Vitus Dance.

La ricerca di un sound più complesso, più progressivo ed in breve più "heavy metal", porta i Sabbath ad ingaggiare per una comparsata in studio le tastiere di Rick Wakeman degli Yes. Sabbath Bloody Sabbath (1973 - ***1/2) riverbera ancora, dopo tutti questi anni, la propria luce sinistra e pericolosa. Il sound di questo album è molto simile a ciò che stavano sperimentando i Blue Oyster Cult dall'altro lato dell'Oceano. La title track, A National Acrobat e soprattutto Sabbra Cadabra sono le canzoni da portare sulla proverbiale isola deserta.

Con Sabotage (1975 - ***) inizia la fisiologica diminuzione di qualità. Tony Iommi ha infatti spinto sull'acceleratore per così tanti anni che qualcosa si rompe nel motore fino ad allora perfetto del gruppo. E' successo a tutti, perfino ai Led Zeppelin. Per adesso i Black Sabbath si salvano con qualche perla come Hole In The Sky o Symptom Of The Universe.

Il ritorno alle sonorità rotonde e di successo di Sabbath Bloody Sabbath non riesce proprio a salvare il terribile Technical Ecstasy (1976 - **). I rapporti umani all'interno del nucleo storico del gruppo sono ai minimi storici e preludono allo scioglimento. Ascoltate You Won't Change Me e Rock N'Roll Doctor e buttate nel cestino il resto.

Prima della chiusura della premiata ditta Iommi  / Osbourne, la Warner Bros riesce ad assemblare in fretta e furia Never Say Die (1978 - **1/2), il quale è sorprendentemente migliore del predecessore, se non altro per la presenza in scaletta della splendida ballata acustica Junior Eyes.

Il tanto atteso album dal vivo Live At Last (1980 - ***1/2) viene registrato molto male e non rende giustizia all'incredibile forza dal vivo del quartetto originale della band di Birmingham. Qui è contenuta una leggendaria versione di Children Of The Grave.

Mentre Ozzy Osbourne sfodera da solista una serie di dischi convincenti dal sound molto americano, i Black Sabbath diventano decisamente più metal ed epici con l'ingaggio come cantante dell'ex Elf e Rainbow Ronnie James Dio. Se Ozzy gracchiava le sue filastrocche maligne, il piccolo Dio investe l'ascoltatore con una portentosa voce tenorile. All'inizio sembra goderne anche Iommi poiché Heaven And Hell (1980 - ****) è disco meraviglioso. La title track e Children Of The Sea sono momenti di puro metal melodico, mentre Neon Knights e Lady Evil scoperchiano il lato più aggressivo del gruppo. Semplicemente uno degli apici dell'heavy metal tutto.

Il giochino vorrebbe essere ripetuto, ma Mob Rules (1981 - **1/2), pur con alcuni picchi memorabili (The Mob Rules, Turn Up The Night, The Sign Of The Southern Cross), risente dei pessimi rapporti tra Dio e Iommi. Il piccolo singer è riuscito ad imporre l'ingaggio del batterista Vinny Appice, che per sempre sarà l'alter ego ideale per la sua ugola di agile acciaio. Si tratta comunque di una "vittoria di Pirro" ed i fatti presto daranno soddisfazione alla dittatura niente affatto illuminata di Tony il malvagio.

 
 

Live Evil (1982 - ***1/2) è sicuramente registrato meglio di Live At Last, ma Dio rimane leggermente in impaccio nel repertorio di Ozzy, laddove invece è superbo nei suoi eloquenti "comizi metal".

Dio e Appice se ne vanno trovando miglior fortuna con la carriera solista del piccolo folletto. I Black Sabbath stupiscono invece tutti richiamando Bill Ward alla batteria, ma soprattutto ingaggiando alla voce Ian Gillan, cioè proprio il cantante degli storici "avversari" Deep Purple. Ne verrà fuori un album poco ispirato ed una lacerante disputa con i fans. Born Again (1983 - **1/2) è registrato in modo imbarazzante, ma Trashed e Disturbing The Priest non sono davvero male. Gillan se ne tornerà prestissimo nei Deep Purple, contribuendo da par suo al successo di Perfect Strangers (1984) di questi ultimi.

Cacciati anche Geezer Butler e Bill Ward (di nuovo), Tony Iommi getta la maschera. Sulla copertina di Seventh Star (1986 - *) appare da solo, come a significare che i Black Sabbath sono divenuti ormai un suo progetto solista. L'ingaggio della voce di Glenn Huges (anche lui curiosamente un ex Deep Purple, oltre che ex Trapeze) e della batteria del futuro Kiss Eric Singer, non riesce a mitigare la delusione. Almeno sappiamo con certezza a chi è da imputare questo disastro.

Ormai i Sabbath collezionano più cambi di formazione degli stessi Deep Purple. Questa volta il microfono è in mano al sottovalutato e sfortunato Tony Martin. La voce c'è, ma le canzoni di The Eternal Idol (1987 - **) non sono niente di speciale; anzi solo la title track e Born To Lose sono da salvare.

Più o meno sullo stesso livello (anzi un pelo peggiore) è il successivo Headless Cross (1989 - *1/2), rimasto nella memoria collettiva solo per l'ospitata di Brian May (il chitarrista dei Queen) e per la presenza del funambolico batterista Cozy Powell.

Che dire invece di Tyr (1990 - *)? Semplice: fa schifo. Tony Martin viene allontanato tra fischi e pernacchie perché sta tornando alla ribalta una formazione che i fans storici di sicuro gradiranno.

Tony Iommi. Ronnie James Dio, Geezer Butler e Vinny Appice (la formazione che aveva inciso Mob Rules) suonano in Dehumanizer (1992 - **1/2), un disco che, fin dalla copertina, è vicinissimo al purissimo classic heavy metal del Dio solista. Nonostante un acclamato tour mondiale la scaletta non convince appieno, anche se Computer God, TV Crimes e soprattutto Time Machine sono dei gran pezzi (finalmente).

Dio e Appice se ne vanno ancora una volta per gli insanabili contrasti con il leader ed allora quest'ultimo richiama il fidato Tony Martin. Ne viene fuori il disco migliore (si fa per dire) di questo sfortunato connubio. Cross Purposes (1993 - **) vede una buona performance del cantante in canzoni però dal livello mediocre (eccetto Cross Of Thorns).

Iommi non si è ancora accorto che il fiato è davvero corto e che in giro ci sono circa due milioni di metal band migliori dei Black Sabbath. Ecco che esce pure Forbidden (1995 - *), l'ennesimo sfregio ingeneroso alla leggenda dei Black Sabbath. Partecipa alla festa d'addio perfino il rapper Ice-T (leader del gruppo crossover dei Body Count).

La rimpatriata con Ozzy Osbourne, voluta dalla casa discografica Epic, frutta soltanto un applaudito tour mondiale ed un album doppio dal vivo. Reunion (1998 - ***) dal punto di vista della qualità audio è il miglior live della storia del sabba nero; non convince però quest'aria dimessa da band dell'ospizio. Ozzy e Iommi non sono fatti per andare d'accordo e dunque il previsto disco di inediti non vede mai la luce.

Per motivi contrattuali l'ennesima prova della formazione Dio / Appice / Iommi / Butler esce a nome Heaven & Hell (come il grande album del 1980, in cui però non suonava Vinny Appice, bensì Bill Ward). The Devil You Know (2009 - ***1/2) è un disco di solido metal moderno che assume un significato particolare perché si tratta dell'ultima registrazione di Ronnie James Dio prima della prematura morte. Le composizioni sono di buon livello con i picchi rappresentati da Atom And Evil, da Rock N'Roll Angel e soprattutto dalla terrificante Bible Black. Pur con altro nome, si può finalmente affermare che i Black Sabbath sono tornati a produrre musica decente.

Il 2013 è invece l'anno giusto per il nuovo incontro con Ozzy Osbourne (con Iommi e Butler c'è Brad Wilk dei Rage Against The Machine alla batteria). 13 (***) è un album più che dignitoso, in cui risplendono composizioni più varie rispetto al recente passato (Loner, Damaged Soul), in cui Tony Iommi torna ad essere un vero guitar hero nonostante la devastante malattia che lo ha colpito da diversi mesi e dove Ozzy Osbourne canta al meglio delle proprie possibilità (ascoltate l'attacco teatrale di End Of The Beginning). Ci vuole altro per stupire, ma questi sono i Black Sabbath dopo 45 anni di eccessi vari. Esiste anche una de luxe edition con tre brani in più assolutamente prescindibili (Methademic, Peace Of Mind e Pariah).

  
 Lorenzo Allori