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Ray Lamontagne Discografia

Non è più un ragazzino Ray La Montagne, nato in New Hampshire nel 1973 e con un passato dedito alla bottiglia, quando si innamora della musica dei Manassas di Stephen Stills e Chris Hillman. E' la scintilla che lo fa notare dal grande produttore Ethan Johns, il quale pensa bene di fargli ascoltare altri gioielli del passato (in particolare gli album storici di Van Morrison e Tim Buckley).


Trouble (2004 - ***1/2) è il trampolino ideale per la meravigliosa voce del cantautore. E l'eccezionale title track ha infatti la stessa leggerezza ritmica quasi impalpabile e jazzata del Van Morrison di Astral Weeks.

Ray dimostra qua e là di avere una penna sopraffina (lo strepitoso country rock di Jolene, poi portato al successo americano dalla Zac Brown Band), di saper urlare tutta la propria disperazione (Burn) e di possedere anche un bel talento classic rock (Forever My Friend, All The Wild Horses). Peccato che non tutto il disco sia sullo stesso livello delle canzoni citate.

 

Dalla partecipazione all'ambito festival di Bonnaroo del 2005 viene estratto l'ottimo ep dal vivo Live From Bonnaroo (2005 - ****). Al cospetto di una grande platea, Ray non sembra minimamente a disagio ed anzi riesce a stendere tutti con la propria feroce rilettura solo chitarra e voce di Burn.

Forse per omaggiare i fans inglesi, che gli hanno tributato un notevole successo, ‘Till The Sun Turns Black (2006 - ***) è notevolmente diverso dall'esordio. LaMontagne spiega raramente la sua poderosa voce e preferisce attestarsi sugli stessi territori di intima insoddisfazione che hanno fatto grande Nick Drake. Be Here Now e Lesson Learned sono i punti forti di un album purtroppo troppo ripiegato su sé stesso.

Ancora Ethan Johns per tornare leggermente sui propri passi. Gossip In The Grain (2008 - ****) mette finalmente a fuoco tutte le potenzialità dell'autore anche in ambito soul. Certamente mancano i brani killer di Trouble, ma la qualità generale del repertorio è molto più alta. Resta il fatto che Let It Be Me è una delle sue migliori canzoni di sempre, ennesimo motivo per conoscere questo bel disco.

Con l'aiuto della band di accompagnamento dei Pariah Dogs, LaMontagne decide di auto prodursi. Nonostante un riscontro di critica pessimo, God Willin' And The Creek Don't Rise (2010 - ****) è, a mio parere, il suo lavoro migliore. L'iniziale Repo Man sembra indicare la strada di un prossimo futuro molto rivolto ai ‘60s. Poi però ci sono pure New York City's Killing Me, la title track e la struggente Like Rock N'Roll And Radio.

 
Supernova (2014 - ***) è l'ennesima prova dell'eclettismo di Ray LaMontagne. Questa volta viene esplorato una sorta di folk psichedelico e felicemente stordito che omaggia a piene mani la produzione storica del cantautore scozzese Donovan. Se l'ascolto dell'iniziale Lavender vi lascia perplessi, o quello della successiva Airways incuriositi, sappiate che il brano Supernova vi metterà ko. E pensare che Ray aveva annunciato un ritiro dalle scene.

Nessuno si sarebbe mai aspettato un rilancio così ambizioso e così poco in sintonia con il suo repertorio precedente.

Con Ouroboros (2016 - ***) Ray LaMontagne persevera nella sua visione di folk psichedelico inaugurata con il disco precedente. Probabilmente il fatto che il disco sia prodotto da Jim James, altro ammaliato dai suoni degli anni '60, è piuttosto decisivo in questo senso. L'atmosfera rimane sempre fumosa, caotica e talvolta iper elettrificata, come ad esempio nel singolo Hey, No Pressure, mentre purtroppo latitano non poco le belle canzoni
 

Per fortuna ci sono The Changing Man e Wouldn't It Make A Lovely Photograph a salvare il tutto ed a strappare la sufficienza. Una voce come quella di Ray meriterebbe altro contorno musicale e tutt'altro tipo di ispirazione.

  Lorenzo Allori