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dEUS DISCOGRAFIA

 

dEUS DISCOGRAFIA

 

I dEUS sono il gruppo di punta della scena alternativa di Anversa. Si formano all’inizio degli anni ’90 intorno ad un nucleo “forte” che comprende il chitarrista e cantante Tom Barman, il violinista Klaas Jazoons ed il bassista Stef Carlens.

 

L’esordio Worst Case Scenario (1994 - ****) è uno degli album più apprezzati del decennio. L’uso non convenzionale del violino elettrico, le ritmiche simil hip - hop squarciate da improvvise oasi acustiche, l’uso discreto e funzionale dell’elettronica, una voce che canta in inglese con un affascinante accento francofono: tutto rende imperdibile Worst Case Scenario.

 

I ragazzi non hanno paura di niente e si permettono dissonanze in stile Sonic Youth o addirittura Captain Beefheart ed il grande pubblico gli premia comunque. Tutte le canzoni sono molto belle, ma come non nominare l’incredibile incipit intitolato Suds And Soda? Tra le pieghe della scaletta è nascosta un’irriconoscibile cover di Low dei R.E.M. (oscuro brano preso dalla scaletta del million seller Out Of Time).

Lo spirito sperimentale dei dEUS si sfoga in modo fragoroso con l’ep My Sister = My Clock (1995 - *1/2), del quale esistono addirittura due versioni diverse che fanno disperare i collezionisti. La qualità della musica è opinabile, soprattutto se siete convinti che i Throbbing Gristle siano assolutamente saporiferi.

In A Bar, Under The Sea (1997 - ***1/2) riprende il filo logico del primo album, accentuandone le ritmiche irregolari. La critica dell’epoca parlò di “pop – jazz”, ma in realtà si tratta solo della logica evoluzione adulta di uno stile che rischiava di divenire un clichè. I pezzi forti dell’album si intitolano I Don’t Mind What Ever Happens, Theme From Turnpike, Little Arithmetics e Serpentine. Stef Kamil Carlens abbandona il gruppo non condividendo i piani poppeggianti del leader Tom Barman.

 

La fine degli anni ’90 vede un deciso ritorno di interesse verso il pop orchestrale. E così mentre decine di nuove band studiano il libro di testo Ocean Rain degli Echo & The Bunnymen, i dEUS si cimentano con il genere, pescando dal loro magico cilindro lo splendido The Ideal Crash (1999 - ****). 

Si tratta dell’album che vende meno della loro carriera ed è un vero peccato poiché Put The Freaks Up Front, The Magic Hour, The Ideal Crash, Dream Sequenze #1 e Instant Street sono tra le loro canzoni più convincenti. The Ideal Crash è una gemma nascosta dela discografia di quel decennio. Di fatto dopo questo insuccesso commerciale il gruppo si prende una pausa di riflessione e lascia traccia di sé solo con qualche raccolta.

Dopo diversi anni i dEUS tornano a dare proprie notizie con l’ottimo Pocket Revolution (2005 - ***1/2). Il gruppo ha perso le asperità di un tempo e viaggia sulle coordinate di un indie rock con qualche unghiata elettrica veramente niente male. La tensione creata dall’iniziale splendida Bad Timing purtroppo si scioglie abbastanza presto, ma il disco regala almeno altri due gioielli di valore inestimabile: il quasi gospel di Pocket Revolution e la conclusiva Nothing Really Ends (già edita come singolo nel 2001).

Il processo di banalizzazione della musica del gruppo belga continua purtroppo con il deludente Vantage Point (2008 - **1/2): un album che sarebbe potuto essere realizzato da una qualunque band britannica. La canzone forte si chiama Slow, ma il disco vive su motivetti troppo carini e “perbene” per essere made in dEUS.

Con l’aiuto di Greg Dulli (Afghan Whigs, Twilight Sisters, Gutter Twins), i dEUS tornano in pista con Keep You Close (2011 - ***1/2). Dai Norvegesi Madrugada sembra abbiano inteso riprendere una certa aria da noir in stile Ellroy. La musica riprende alcune soluzioni orchestrali simili a The Ideal Crash ed esalta la scrittura di Tom Barman, questa volta all’altezza della sua fama.

 

Bellissima la lunga conclusiva Easy, ma la scaletta vive di altri grandi episodi, come la title track, Dark Sets In, Twice (We Survive) e Second Nature. Finalmente torna ad essere fondamentale nel sound del gruppo il violino di Klaas Jazoons.

Il corso più recente della carriera della band di Anversa è all’insegna di un rock decisamente meno sperimentale che in passato. L’album Following Sea (2012 - **) è, ancora più di Vantage Point il culmine di questo processo all’insegna del pop. Le dieci canzoni di questo disco sono all’insegna di un easy listening piuttosto scialbo, che non rende per niente giustizia al glorioso passato del gruppo.
 
Si parte alla grande con Quatre Mains, che recupera il cantato in francese ponendolo sopra una minacciosa base dark wave (era dai tempi di Worst Case Scenario che l’idioma francofono non veniva un granché utilizzato dai Belgi), ma il resto del disco è di una banalità disarmante. Un vero colpo al cuore per i sempre numerosi fans dei dEUS.

  Lorenzo Allori