On Air Stiamo trasmettendo:
Eighties

Parola di DJ

newsletter
Vuoi essere informato su tutte le novità di Radiogas?
Iscriviti alla nostra newsletter
Scrivi la tua email



METTI UNA SERA A CENA

Di Giuseppe Patroni Griffi (Italia, 1969)
Con: Florinda Bolkan, Lino Capolicchio, Jean-Louis Trintignant, Tony Musante, Annie Girardot

 

Teatro e cinema, due elementi apparentemente distanti, ma che con la mano giusta diventano la summa di un capolavoro: è il caso di "Metti una sera a cena", una perla teatrale che in celluloide è divenuta davvero una pietra miliare.
Una storia si può raccontare in tanti modi, su una linea retta, o scegliere l'intreccio più impegnativo e affascinante, come in questo caso, dove si parte da un freddo dialogo tra due estremi della storia per arrivare in una spirale dove personaggi estremamente diversi sono in realtà i pezzi di un mosaico morboso dove ogni ruolo è ben stabilito e sottinteso.

 Mai prevedibile e volutamente non lineare, questo film aggiunge nuovi spigoli ad ogni passaggio, la sceneggiatura è firmata a quattro mani da Giuseppe Patroni Griffi e Dario Argento, in una storia che ha come epicentro i commensali di una cena non troppo casuale, una cena che sembra soltanto ripetere se stessa, una cena dove frasi prima bisbigliate sono poi fulcro sonoro, una cena che cela malizia e gelosia, liscia come seta sotto il tavolo, tra sguardi complici e consapevoli.

Una storia dove gli esterni giorno sono più che altro dei flashback, dove ci si può trovare davanti a rumoroso silenzio o muto frastuono, dove i protagonisti sembra che vogliano volutamente inaridirsi e distaccarsi dall'ambiente che li circonda, dove ognuno esalta la propria personalità, imponendola.

 

La figura centrale di tutto ciò è Nina, interpretata dalla bellissima Florinda Bolkan, il personaggio svela una ragazza bellissima e sottilmente cattiva, manovratrice di un gioco che finirà con lo svelarsi, come quando i bambini che giocano a mosca cieca finché non trovano altro per distrarsi.

Altra nota di riguardo per Musante, che interpreta l'ambiguo Max, il cui volto tagliente resta uno dei tratti principali di un escursus narrativo che passa da una nube drammatica per diventare poi una foto, istantanea e intenzionalmente statica. Infine il personaggio di Trintignant, riflessivo e silenzioso, che capisce chi è con lui e chi non lo è fin dall'inizio di tutto, ma non si spreca in parole superflue.

Un film che va apprezzato dopo un secondo o un terzo attento sguardo.

Daniele Nuti