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Rush di Ron Howard

Regia: Ron Howard

 

Cast: Chris Hemswort, Daniel Bruhl, Pierfrancesco Favino, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara.

 

Nazione: Usa, Gran Bretagna, Germania.

 

Anno: 2013

 

 

Premessa: chi scrive non capisce niente di macchine. Mi è sembrata una conquista epocale capire che la pompa dell'acqua del mio bolide da 998 di cilindrata doveva essere andata perché dal cofano usciva rumore di caffettiera e mi sono fermata li ma, signori, Rush è un film che entra sotto la pelle anche a chi di belve a motore ci capisce il giusto. Qualche gara l'ho vista, complice il Mugello a pochi chilometri, e il rumore che fanno quelle bestie con le ruote enormi è tale da farti venire mal di denti. Stai li con le mani appiccicate alla rete, perché negli anni '90 c'era la rete e uno poteva scorrazzare felice fra prati e boschi se non voleva infilarsi in tribuna, e vedi quei missili colorati passarti a pochi metri dalla faccia. E la domanda che ti sorge spontanea è: ma se fanno un incidente come ci escono da li? 1976, la stagione più rock n'roll che la Formula 1 si ricordi. Niki Lauda e James Hunt sono gli opposti necessari, le due metà del successo sparato a centinaia di chilometri all'ora su una striscia di curve d'asfalto: l'eterna sfida Ferrari contro McLaren. La storia è una di quelle vere, i protagonisti sono veri, il regista è Ron Howard e il consulente dello sceneggiatore Peter Morgan è proprio quel Niki Lauda che il primo agosto 1976 si trovò incastrato fra la cintura di sicurezza e un rogo di 800°. The Super Rat, il super topo interpretato da un ottimo Daniel Bruhl, è la razionalità delle gare. Studia i circuiti, va a letto presto, viviseziona la macchina come fosse una cavia da laboratorio, non accetta mai di rischiare la vita più di quanto il suo mestiere lo richieda. Dall'altra parte c'è James Hunt, la vera rock star della stagione della Formula 1, resuscitato sullo schermo magico da un Chris Hemsworth che dimostra tranquillamente di non essere buono solo per i film di supereroi. Se lo sfondo è quello della F1, la storia è tutta umana: la rivalità fra i campioni, l'incidente di Lauda, la sfida all'ultimo soffio per arrivare alla vetta di quel mondiale che Hunt conquisterà per un solo punto, superando il pilota viennese che, a dispetto di tutto e tutti, riuscirà a rimettere il sedere in pista al Gran Premio D'Italia (non a caso, è sua la frase "La macchina si guida con la nostra parte più sensibile: il sedere") solo 42 giorni dopo aver rischiato di morire fra le fiamme sul Nurburgring tedesco, arrivando quarto quando tutti lo davano per spacciato. Impossibile fermare la volontà d'acciaio di un già titolato campione del mondo, e impossibile per la pioggia torrenziale del circuito del Fuji fermare la volontà di vittoria che doveva bruciare in corpo a James Hunt, deciso a sfidare la sorte e l'altissima percentuale di rischio che una gara del genere comportava. Ne uscì vivo, terzo e campione del mondo a sua volta, mentre Lauda decise di ritirarsi. Rush non parla solo di macchine, parla degli uomini che ci vivevano dentro. E se le inquadrature magistrali mostrano i pezzi delle auto come fossero organi, e il rumore del motore come urla di bestie votate alla velocità, la storia ci ricorda la vita di due grandi campioni, opposti in tutto ma in fondo legati a doppio filo da stima e amicizia, che hanno consegnato al mondo la stagione più brillante della F1.

 

 Valentina Ceccatelli