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KINGS OF LEON @ FUTURSHOW STATION

 CASALECCHIO DI RENO (BO) 3 Dicembre 2010
Mettiamo subito in chiaro una cosa: i Kings Of Leon sono uno dei fenomeni rock più celebrati e discussi degli ultimi anni. Dall'esordio nel solco del southern rock di annata, la famiglia Followill si è piano piano smarcata dall'etichetta di band buona solo per la popolazione americana dall'Alabama in giù e si è aperta al mondo, anche grazie ad una decisa virata dal punto di vista della produzione dei dischi ed ad una sapiente e rinnovata gestione a livello d'immagine.
Detto questo, le loro qualità musicali risultano indiscusse ed indiscutibili. Con il loro nuovo album Come Around Sundown, ideale proseguimento del multi premiato Only By The Night, si sono definitivamente ingraziati la fetta di pubblico che affolla le arene di tutto il mondo. E adesso anche l'Italia può dire di averli ammirati dal vivo.

Al Futurshow Station di Casalecchio di Reno (BO) l'unica data italiana del loro tour europeo ha richiamato almeno 10mila persone da tutta la penisola e oltre (abbiamo incrociato diverse persone dall'accento inglese o tedesco) e lo spettacolo, in generale, non ha deluso.
Un concerto che è partito col gas aperto: Caleb (voce e chitarra), Jared (Basso), Matthew (chitarra solista) e Nathan (batteria) sparano subito sulla folla la loro musica fatta di delay acidi, assoli ben strutturati (echi dei Thin Lizzy da tutte le parti), e batteria e basso che mai banalmente costruiscono il tappeto ideale dove si appoggia la voce di un Caleb Followill piuttosto graffiante, un timbro vocale che ricorda i vecchi bluesman che dalle parti del Tennessee (stato di nascita dei KOL) sono rispettati come semidei. In quasi 2 ore di concerto tutti i loro più grandi successi (da Molly's Chamber a The Bucket, a Notion, passando per gli anthem Use Somebody e Sex On Fire) e la maggior parte dei brani tratti dal loro ultimo lavoro. Il tutto sorretto da un impianto luci che impressiona per la magniloquenza e per la grandezza e che crea intorno alla band una certa atmosfera ad alto impatto visivo. E se non fosse per un black out sul palco durante Mary, quinto pezzo della serata, che lascia il palazzetto in un'atmosfera ovattata dove gli strumenti si sentono solo dalle spie sul palco (si, sembrava un gruppo alla festa del castagnaccio), sarebbe stato un set tecnico assolutamente perfetto.

Eppure questi ragazzi qualche difettuccio, dal vivo, ce l'hanno. Forse troppo impegnati nella loro esibizione, non cercano (se non sporadicamente) un contatto empatico diretto col pubblico. Arrivano, suonano e se ne vanno. Sono dei ragionieri del rock. Come forse ce ne sono fin troppi in giro. Sono statici sul palco, si muovono in avanti e ritornano indietro mettendo i piedi sulle proprie impronte. I pezzi suonano esattamente come sull'album. Mai, che so, una variazione sul tema, un volo pindarico, un accordo diverso. Spesso fisicamente inespressivi. Il chitarrista Matthew, nonostante innegabili doti artistiche, non farebbe sentire la mancanza della sua presenza scenica nemmeno se andasse al posto dell'oscuro chitarrista di supporto seminascosto tra amplificatori e batteria.

Insomma, a parte la classica sviolinata all'Italia ("amiamo questo paese e volevamo tanto venirci a suonare") e alle italiane ("si stanno divertendo le ragazze?") i Kings Of Leon hanno qualche problema relazionale con chi li ha messi nell'Olimpo rock delle nuove generazioni. Ed è uno scalino fondamentale da salire per poter arrivare sempre più in alto e per poter essere ricordati, non come un gruppo che suona per fare più soldi possibili, ma come una delle più fulgide stelle della musica degli anni 2000.
Intendiamoci: musicalmente è stato uno dei migliori concerti di quest'anno. Le loro canzoni ti esaltano, penetrano nella pelle, arrivano dritte al cuore e ti pervadono di energia positiva. Non è musica triste la loro e anche quando gli accordi si spingono sulle ottave più grevi percepisci una emozione non da poco. Ti trascinano all'interno del pezzo come pochi altri al mondo. Ma è molto difficile trovare sincerità nei brani che presentano se il loro atteggiamento non include anche i fan.

Il futuro potrebbe essere loro. Basta ricordarsi che un concerto è fatto anche per essere guardato.


 Alberto Niccolai