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P.A.F. – Live In Capodistria

Anno di pubblicazione: 1998

 

Brani: Next Stop / Everything Happens To Me / The Open Trio / Suenos / Hands / Monasterio e Santa Chiara / Non dimenticare Santa Chiara / T'ho voluto bene / PAF / Lester / E' Natale / Paparazzi

 

Musicisti: Paolo Fresu (tromba, flicorno, effetti elettronici), Antonello Salis (pianoforte, fisarmonica), Furio Di Castri (contrabbasso, basso elettrico, sintetizzatori)

 

P.A.F. è stato un progetto storico del jazz italiano, una sigla legata all'iniziale del nome di battesimo di tre grandissimi strumentisti: Paolo Fresu, Antonello Salis e Furio Di Castri.

Nelle note di copertina di questo Live In Capodistria (uscito nel 1998, ma riferito ad un'esibizione del dicembre 1996), Vittorio Albani, ex giornalista musicale ed attuale manager di Fresu, insiste molto sulla "mediterraneità" che trasuderebbe dalle note di questa scaletta. Invece inizia Next Stop (scritta da Salis) e si scopre che si tratta di un brano di matrice blues; che New Orleans sia situata nel Mediterraneo? E non è finita, poiché Everything Happens To Me è un'elegante rilettura di un celebre standard, mentre con The Open Trio Fresu spolvera un assolo di tromba che ricorda da vicino il Miles Davis di In A Silent Way. Ero quasi per disperare nel trovare i tanto attesi aromi del Mare Nostrum quando ecco apparire Suenos, con Antonello Salis che imbraccia la fisarmonica ed una generale atmosfera degna di una festa popolare a riempire l'esibizione. Da lì alla conclusione (soprattutto con la splendida Paparazzi) effettivamente il trio dimostra tutte le proprie radici sarde, dando ragione ai commenti introduttivi. Certo non mancano tendenze rapsodiche scatenate dalle dita di Salis, come nella lirica e coinvolgente PAF, ma il concetto del gruppo diventa scopertamente quello di creare una stimolante fusion tra musica folk italiana e jazz.

Paolo Fresu in quel momento stava per spiccare il volo della grande notorietà internazionale e questo live album ne saggia in pieno tutte le grandi potenzialità. Si trattava già di un solista attratto dal registro medio della tromba, dall'approccio essenzialmente "cool jazz", raffinato emulatore di Chet Baker o Miles Davis. I compagni di viaggio portano invece una ventata d'aria frizzantina, più nervosa e sperimentale, riuscendo a farci dimenticare la mancanza della batteria. Ed in questo il progetto P.A.F. rimane esperienza rarissima, dritta al cuore dell'improvvisazione e con bene in testa il motto "less is better".

Semplicemente uno dei dischi più belli degli ultimi venti anni di jazz italiano.

 Lorenzo Allori