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Beirut - The flying club cup

Ascoltando questo cd mi sono chiesto: e se fosse uscito qualche anno fa al posto di Michael Bublè? Non ci sarebbe stato lo swing alla radio. Questo è sicuro. E’ il secondo lp dei Beirut. Esce ad un anno di distanza da “Gulag Orkestar” (2006) che riscosse un discreto successo nella cerchia dell’indie. E’ stato registrato in appena un mese nel Quebec (CAN) negli studi dei connazionali Arcade Fire. Il titolo è stato ispirato dalle prime foto a colori che ritraevano le montgolfiér volare sopra i cieli parigini.
Zach Condon (leader polistrumentista) ha dichiarato di aver soggiornato per un certo periodo a Parigi e questo ha lasciato un segno evidente nel suo nuovo lavoro. Insieme con Owen Pallet (Final Fantasy), che ha curato gli arrangiamenti per archi, hanno dato vita a questo nuovo album-trip contenente dodici tracce, più una intro. Corni francesi, pianoforti e tastiere, ed altri strumenti della cultura tipica francese, oltre agli archi, fisarmoniche ed ukulele. E’ un album meno gitano e più orchestrale, un’opera sicuramente più matura, con angoli smussati rispetto al precedente lavoro.
L’album si apre con il corno da guerra che con un ancestrale ed inquietante richiamo sveglia l’ascoltatore, avvertendolo che il viaggio sta per cominciare. Con Nantes vengono scoperte subito le carte. Sorvoliamo la Francia con questa mongolfiera sonora...
ppeto sonoro difficile da scindere.

E’ una banda che si compone strada facendo, un po’ alla volta si aggiungono tutti gli elementi-strumenti in un crescendo emotivamente coinvolgente. Seguono brani simili a marce della banda di paese, alternate a intermission strumentali, parti corali che ti vien voglia di canticchiare in auto quando sei in coda. Sono tutte tracce curate nei minimi particolari per quanto riguarda l’armonia sia della parte cantata, (attraverso echi e sovraincisioni) che di quella strumentale. Spicca The Penalty, una ballata dal gusto retrò, forse sciupata soltanto dal fatto che viene lasciata così, ancora a livello embrionale. La voce impostata di Condon cerca di distendersi con note più alte, anche se risulta ancora trattenuta.
Non tutte le tracce sono capolavori, è ovvio, ma ci si affeziona piacevolmente ad alcune di esse soprattutto se ci lasciamo trascinare dal tono malinconico. Vale la pena ascoltarlo (o guardarsi i video su You tube di Nantes, di The Penalty e A Sunday Smile.

Un album senza tempo, né nazione ben connotati. Certo non è un disco per tutte le orecchie, ma se cercate qualcosa di originale (nella ristagnante scena musicale di oggi), quest’album può essere una valida strada da imboccare.

Andrea Bettocchi