Pochi artisti rock possono vantarsi di avere un rapporto così fortunato con il cinema come il leader dei Pearl Jam. Sarà la sua consolidata appartenenza al circolo di Hollywood più impegnato in politica, sarà la stretta amicizia che ne consegue con gente come Tim Robbins, Sean Penn o lo stesso George Clooney che ormai da anni guidano l’ala ultraliberal di Hollywood, ma il buon Eddie pare così in simbiosi con la settima arte che ci stupisce che finora non si sia cimentato direttamente nella recitazione, belloccio e carismatico com’è. |
“Into the Wild”, film di Sean Penn ancora non uscito nelle sale, non è il primo alla cui colonna sonora partecipa Vedder. Di lui ci ricordiamo soprattutto due splendidi duetti con lo scomparso Nusrat Fateh Alì Khan contenuti in quel “Dead Man Walking” di Tim Robbins che vedeva come protagonista proprio l’ex-signor Ciccone. La differenza sostanziale è che qui il vocalist dei PJ si assume l’intero peso del compito, firmando tutti gli 11 brani in cui è suddivisa la soundtrack. |
Undici brani molto corti (solo due tracce superano i tre minuti!), rapide pennellate di commento sonoro ad un film (e qui sta il paradosso della ns. recensione) da noi non visto e neppure “annusato” attraverso il trailer. L’impossibilità attuale di “triangolare” l’opera di Vedder con quella di Penn non costituisce però impedimento alcuno alla degustazione. Del resto chi come noi non ha abbastanza padronanza dell’inglese per avere sufficiente conoscenza dei testi è sempre riuscito ad ovviare a questa specie di privazione di senso col potenziamento dei rimanenti, così come i non vedenti affinano l’udito a livelli a noi sconosciuti. |
L’Uomo di Evanston ci aiuta alla grande in questo sforzo, riuscendo a “girare”, con la sua meravigliosa voce baritonale, un suo film parallelo di grande intensità e impegno. Un opera forse troppo scarna, limitandosi in realtà il vero cuore dell’album a tre-quattro brani di gran respiro. Come “Hard Sun”, cover di un brano di un semisconosciuto cantautore dallo strano nome di Indio, o l’ancor più bella “Society”, classica ballad vedderiana dolce e poderosa insieme. |
Ma il brano più bello dell’album è probabilmente “Guaranteed”, splendido brano di chiusura soffocato purtroppo dalla sciagurata scelta del produttore di gonfiarlo con tre minuti di bianco più due minuti di una hidden track che poi non è altro che la reprise della stessa, cantata stavolta a bocca chiusa. E il bello è che in I-Tunes la versione “humming” (così si dice) è offerta in modo indipendente, fortuna che invece viene negata alla versione originale. Perché lo fanno? Mah… Marco Monzali
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Premessa: All'uscita del film di Tim Burton Big Fish, mi precipitai, io che non sono un cinefilo incallito, a vederlo con la motivazione principale che i titoli di coda erano accompagnati da una canzone bellissima dell'artista in oggetto. Rimasi solo a vedermi tutti i titoli di coda maledicendo chi se ne era andato prima e tutte le televisioni che hanno il vizio di tagliarli. |
Il pezzo era perfetto. Da rimanere incollati alla poltrona. Questo per spiegarvi velocemente che parto ben preposto all'uscita di questo nuovo lavoro "cinematografico". Eddie Vedder ha senz'altro il pregio di essere un cantante che modula la voce in maniera emozionale come pochi e riesci a capire il senso delle canzoni anche se non capisci le parole. |
Anche qui sono 11 pezzi e trentatre minuti. Non ho visto il film ma sono pronto a scommettere sull'ambientazione delle scene solo sentendo le tracce. Alcune più lunghe, altre dei bonsai curati alla perfezione come da dovere. Puro stile Eddie Vedder da solista, quello per interderci delle canzoni più marcatamente acustiche del gruppo di Seattle. Disco forse da raccomandare ai fans più integralisti ma che sicuramente farà breccia anche in quelli che non conoscono i Pearl Jam ma vedranno il film di Sean Penn. Un buon disco in sostanza. E il film? Per questo rivolgetevi alla redazione cinematografica di questa radio. Andrea Olmi
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