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MARY GAUTHIER - Between daylight and dark

Lo chiamano alt-country, dove l’alt non presuppone nessun comando di stop ma sta per “alternative”. L’aspetto esterno è quello della tradizione musicale dell’America bianca e anglofona di cui però se ne fa un uso dolente e melanconico, spesso molto dilatato nei tempi. Niente a che vedere, tanto per capirsi, con quei bamboccioni vestiti alla simil-cowboy, tutti frange e lustrini, giustamente svillaneggiati da Altman nel suo splendido “Nashville”.
L’alt-country, a differenza del C&W ufficiale, è democratico, libertario e intelligente. E terribilmente triste (n.d.r.: ma perché noi di sinistra bisogna sempre romperci così i coglioni?).  
Alcuni nomi: Lucinda Williams (forse la vera caposcuola), Ronnie Elliott, Steve Earle, i primi Cowboys Junkies e quello straordinario gruppo che risponde al nome di Sixteen Horsepower. Riferimenti: innanzitutto il vecchio country “di sinistra” tipo John Prine o Johnny Cash, ma anche lo Springsteen di “Nebraska”, il primo Neil Young e, perché no, una spruzzatina di Tom Waits e un accenno perfino, sentite sentite, di Lou Reed.Sì, proprio Lou-Lou, perché se invece di nascere maschio, frocio, ebreo e newyorkese fosse nato donna, lesbica, cajun e della Louisiana avrebbe probabilmente finito per cantare come questa 42enne di New Orleans, in attività solo da sette anni visto che i primi 35 della sua vita li ha passati tra carceri e centri di riabilitazione. C’è tra i due, nella loro irrimediabile diversità, un qualcosa d’inafferrabile che li unisce. Chissà, quel mimimalismo musicale che li fa procedere per piccole variazioni sugli stessi giri d’accordi, quello strascicarsi sofferente della voce, quell’amarissima, dolente tenerezza che hanno solo quelli poco avvezzi alle carezze. Cinici e freddi? No, cinici e caldi.

Grande, superba artista questa Mary Gauthier, e bellissimo album questo “Between Daylight and Dark”, impeccabilmente prodotto da Joe Henry, cognato di Madonna, il cantautore più waitsiano d’America, più waitsiano perfino di Capossela, 'orcavacca. Dalla prima all’ultima traccia questa quarta fatica della Gauthier ti seduce per gradi crescenti, maturando infine nella superlativa triade composta da “Before you leave”, “Please” e “I ain’t leaving”. Siamo a un passo appena dal capolavoro, dalla proclamazione a “disco da isola deserta” (almeno prima dell’invenzione dell’Mp3). Capolavoro che verrà, se la Gauthier terrà la barra bella dritta davanti a sé. Ma basta così, che corro in negozio a comprarmi i suoi vecchi album.

Marco Monzali