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MATT ELLIOTT – “Howling Songs”

Esistono al mondo (e per fortuna esistono) degli artisti che riescono così bene a rappresentare la desolazione della condizione umana da spaventare anche il fruitore più preparato, tanto da spingerlo spesso verso il rifiuto scaramantico dell'opera stessa, libro, film o brano musicale che sia, troppo, troppo vera per essere sopportata. Chi di noi, di fronte alla foto su una rivista di un bambino all'ultimo stadio della denutrizione, non ha preferito voltare pagina, e alla svelta? Chi non ha usato l'arma dell'ironia, spesso volutamente anche cinica, per NON leggere quel determinato libro, NON andare a vedere quel determinato film che abbiamo sospettato potesse sconvolgerci più del dovuto?
 Matt Elliott è uno di quegli artisti. Lo salva parzialmente il fatto che utilizza uno strumento artistico, la musica, più evocativa e meno descrittiva di altri. "Howling Songs" è un disco tristissimo, lo dico subito per chi non vuole esserne contagiato. Ma è anche un'opera superba, incredibilmente dolce nella sua rappresentazione del dolore, già dalla sconvolgente traccia d'apertura, "The Kubler-Ross Model" dove il titolo indica la tabella con cui gli psicologi classificano le cinque,
successive fasi di reazione di un paziente rispetto ad una diagnosi terminale. Vengono a mente artisti come il Nick Cave delle Murder Ballads o il Tom Waits delle ballate più scure (aggiungerei anche lo Springsteen di Nebraska), ma mentre gli artisti sovraccitati tendono al racconto breve, alla ritrattistica sui "loser", Matt Elliott evita i particolari, preferisce essere più poeta che narratore per dirci che vincere non è un raro e casuale accidente, vincere è semplicemente impossibile.

"Howling Songs", terzo capitolo di una trilogia comprendente le "Drinking Songs e le "Failing Songs", non è un disco facile, sotto nessun punto di vista. L'autore, ex-leader del gruppo Third Eye Foundation, originario della stessa Bristol dei Portishead e dei Massive Attack, vive da anni in Francia e ama la musica del continente, soprattutto quella mitteleuropea. In questo senso il suo sound ricorda molto quello dei Beirut di Zach Conlon ma anche certi momenti di Amanda Palmer o di Lonely Driften Karen, ma in modo meno esplicito e citazionista. "Howling Songs" non è un disco per tutti e per tutte le situazioni. Ma è un disco commovente, terribile, straordinariamente bello. Buon ascolto.

Voto: 9

Brani migliori: "The Kabler-Ross Model", "Berlin & Bisenthal", "A Broken Flamenco", "I Name This Ship The Tragedy, Bless Her and All Who Sail With Her".

Da comprare per sé e da ascoltare da soli, con animo forte e cuore aperto. Sconsigliabile l'accoppiamento con alcool e sostanze stupefacenti, soprattutto se psichedeliche.

Marco Monzali