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Neil Young - Chrome Dreams II

Succede sempre: ogni volta che andiamo a rovistare nelle polverose soffitte capita che si trovi qualcosa a cui non pensavamo più. Ricordi di giovinezza nostri o dei nostri avi, cimeli, foto, trofei per chi ha avuto una carriera giovanile prestigiosa et similia. Una volta spolverati e rimessi in sesto qualcuno vi farà i complimenti per la vostra "riesumazione storica" altri si limiteranno a dirvi "ma che te ne fai di tutte queste cianfrusaglie?"
Beh, se avete passato orgogliosamente la soglia dei sessanta, se avete subito passato indenni gli attacchi di aneurismi celebrali, le operazioni alla spina dorsale, se avete un figlio affetto da sindrome di Down potete tranquillamente fregarvene di quello che dice la gente su ciò che fate. E così fa Neil Young. Le sue ultime produzioni ufficiali non faranno certo gridare al miracolo ma non sono certo prive di spunti superiori alla norma.
Le produzioni invece "rispolverate" sono eccellenti.
Prima il Live storico del 1972, quello a cavallo di due dischi del calibro di After The Gold Rush e Harvest, un gioiello di testi, arrangiamenti, passione e classe da vendere, ora Chrome Dreams II.
Non state a guardare quello che dice la critica, vi perdereste in un mare di zie rompicoglioni cui non va mai bene niente e un mare di nonne che stravedono per il nipotino o di professori antipatici che ti mettono voti bassi per temi che i professori simpatici avrebbero giustamente ben valutato. Io in questa recensione faccio il nonno simpatico.

Quindi capolavoro? No, forse si esagererebbe a definirlo tale e non ho ancora l'età in cui si perde l'obiettività (se c'è un'età a cui lo si fa). Sicuramente però un gran bel disco. Chitarra sempre graffiante e capacità di incavolarsi col mondo (ne avrà diritto no?) come nei primi anni settanta, canzoni che rasentano la follia quando leggi la durata, Ordinary People supera i diciotto minuti, ma che risultano semplicemente perfette e di facile digestione nonostante l'abbondantissima sostanza, buon dosaggio di acustica ed elettronica con tanti richiami a quelli che furono i Crazy Horse anche se oggi l'unico "cavallo pazzo" che lo accompagna ancora è il batterista Ralph Molina. Scavando nelle tracce si scopre che, difficile a crederci ma non se non lo avete ancora ascoltato, sono proprio quelle con più minutaggio ad avere una marcia in più. La già citata Ordinary People, No Hidden Park è una ballata agitata di puro rock and roll e Spirit Road (solo sei minuti abbondanti...) è un'orgia di elettronica da far appendere gli strumenti al chiodo a quelle rock band giovanili che cercano di emulare i vecchi padri fondatori.

C'è anche qualche canzone brutta ma sono poche e durano poco e poi si sta parlando di Neil Young. Uno che può permettersi di sbagliare.

Andrea Olmi