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BLOC PARTY Discografia

I Bloc Party sono tra i protagonisti della rinascita del rock indipendente britannico avvenuta alla metà dello scorso decennio. Dopo la sbornia brit pop degli anni '90 (Suede, Oasis, Verve, Blur, Supergrass, Manic Street Preachers, Kula Shaker ecc.), il rock inglese non gode infatti di buona salute dal '98 in poi. Una serie di band lo riportano in auge sfruttando il recupero di alcune tendenze new wave che andavano per la maggiore negli anni '80. Il gruppo si forma nella contea dell'Essex intorno al cantante di origini nigeriane Kele Okereke. Gli altri Bloc Party sono Russell Lissack (chitarra), Gordon Moakes (basso) e Matt Tong (batteria). I loro punti di riferimento sono, allo stesso tempo, la dark wave melodica dei Cure ed il rock ballabile degli Scozzesi Franz Ferdinand.

Il primo album, Silent Alarm (2005 - ***1/2), fa subito gridare al miracolo New Musical Express e la stampa britannica in genere. Nonostante i consueti facili entusiasmi dei giornalisti della terra d'Albione, Silent Alarm è davvero un gran disco. Colpisce in particolare la voce soulful di Okereke, la quale rispolvera una vecchia tendenza della scena new wave di inizio anni '80, quella cioè di strizzare costantemente l'occhio alla black music. Il resto lo fanno canzoni aggressive il giusto come Helicopter, Banquet e Luno.

Come molti altri gruppi prima di loro, i Bloc Party scivolano sulla buccia di banana rappresentata dal "difficile secondo album". A Weekend In The City (2007 - **1/2) è più duro del predecessore e gioca la carta dell'impegno politico contro ogni tipo di discriminazione (razzismo, omofobia, diritti delle donne). Il problema, per questi novelli Gang Of Four, è però rappresentato dal livello non eccezionale delle composizioni. Si ricordano con piacere solo Hunting For Witches e Kreuzberg.

I fans dei Bloc Party hanno nel 2009 di vedere i propri beniamini riscattarsi immediatamente con la bella prova di Intimacy (***1/2). L'album risulta anche più bello dell'esordio ed è sicuramente più compatto nel suo attraversare atmosfere oscure in stile Joy Division / primi New Order. Il problema risiede semmai nell'ostilità dichiarata della critica e nello scarso successo di pubblico. Mercury, Talons e Better Than Heaven rimangono comunque tra le tracce più credibili del revival new wave del nuovo millennio.

 

 
Occorrono diversi ascolti e mancanza di pregiudizi per accostarsi a Four (2012 - ***), quarto lavoro dei Bloc Party, che ne rivoluziona pesantemente il suono e lo stile. In questo caso il punto di riferimento sono certe college band americane degli anni '90 (Pixies e Sugar su tutti) e solo raramente appaiono nelle nuove canzoni le fosche atmosfere wave alle quali il quartetto ci ha abituato.

Un album che getta sul tavolo molte idee, ma non tutte perfettamente messe a fuoco. Spesso i Bloc Party si avvicinano pericolosamente all'alternative rock campagnolo dei Buffalo Tom. Nella scaletta spicca Real Talk, che è una grande canzone pop.

Hymns (2016 - ***1/2) è il tentativo di Kele Okereke & soci di realizzare un disco di puro electro pop. Siamo dunque dalle parti di In This Light And On This Evening degli Editors o dello storico Power, Curruption & Lies dei New Order. Come nel caso di questi illustri predecessori, i Bloc Party ci mettono anche la loro innata sapienza pop, che li porta a produrre dei veri potenziali inni da concerto (Hymns, appunto).
 
Ne viene fuori un album orientato soprattutto alle ballate notturne, guidato però dai sintetizzatori di The Love Within'. Piacciono in particolare Fortress e Different Drugs, mentre l'unica caduta di tono è la fin troppo carezzevole Into The Earth. I Bloc Party ci hanno abituati a molti cambiamenti stilistici, ma di solito rendono particolarmente bene quando esplorano le sonorità degli anni '80.
  Lorenzo Allori