Si inizia a parlare di "scena brit pop" ed i Blur si mettono immediatamente alla testa del movimento con il loro capolavoro Parklife (1994 - ****). I giornali scandalistici inglesi sono pieni delle foto dei bellocci Damon Albarn e Alex James, ma oltre al fumo c'è anche tanto arrosto. Questo album è un vero caleidoscopio musicale in cui vengono mischiate le migliori tendenze della storia del pop. La title track, To The End e l'affascinante This Is A Low sono le canzoni da demandare ai posteri, mentre Girls & Boys sarà per sempre il loro successo commerciale numero 1. Partecipa al trionfo Laetitia Sadier, l'affascinante vocalist degli Stereolab. Una rivalità vera o presunta con i mancuniani Oasis, porta i Blur sul terreno scivoloso di una "battle of the bands" planetaria. Loro sarebbero i vincitori annunciati, ma se ne escono con un album debole ed autocelebrativo come The Great Escape (1995 - ***). Questa volta l'ispirazione viene presa in modo eloquente dagli XTC di English Settlement (Stereotypes) e dai Kinks di fine anni '60 (Country House). Il cantato annoiato, il pesante accento cockney del leader, le chitarre che non ruggiscono, tutto sembra fatto apposta per affermare ancora una volta l'identità nazionale del brit pop. I coretti da sabato sera abbirrazzato con gli amici (Charmless Man, Mr. Robinson's Quango) quasi fanno passare sotto silenzio un capolavoro di pop orchestrale come la ballata The Universal. La poca maturità live del quartetto viene certificata dal triplo dal vivo Live At Budokan (1996 - **1/2), che esce solo per il mercato giapponese. Tre cd sembrano effettivamente troppi vista l'esiguità del materiale della band. Sconfitti in casa dagli Oasis, Damon Albarn ed i suoi accettano il rovescio e se ne escono con un album che questa volta strizza l'occhio all'indie rock americano (soprattutto ai Pavement di Stephen Malkmus), assecondando i gusti e le inclinazioni del chitarrista Graham Coxon. Blur (1997 - ****) è in effetti l'album più chitarroso ed insieme meno solare della storia dei Blur. Si parte con la melodia beatlesiana di Bettlebum, per poi affrontare la potenza nirvaniana di Song 2: due canzoni, due singoli, un successo ritrovato. La musica dei Blur mostra inedite sfumature dark wave (M.O.R., Death Of A Party), flirta con l'elettronica (Essex Dogs) e finalmente raggiunge (e non solo sfiora) la grandezza dei migliori XTC (On Your Own). OK Computer dei Radiohead e poi Pop degli U2 creano scompiglio nel mondo del pop ricercando una possibile sintesi tra le nuove tendenze elettroniche ed il rock n'roll. Anche i Blur ci provano, con l'aiuto di William Orbit, ma scivolano sulla buccia di banana di un lavoro fragile come Thirteen (1999 - **). La bella e trascinante Coffee & TV si mantiene sulle coordinate del precedente disco, mentre il singolo Tender è formato da ingannevole gospel soul di grana grossa. Per il resto tanta elettronica, ma spesso dozzinale (con l'unica notevole eccezione di No Distance Left To Run). Dopo che la band - cartoon Gorillaz ed una prolifica carriera solista hanno fatto lievitare le quotazioni di Damon Albarn da parte della critica, esce a sorpresa Think Thank (2003 - ***), che certo non regge il confronto con i migliori dischi del gruppo. Out Of Time e Crazy Beat rappresentano alla perfezione una scaletta ancora più varia di quella di Thirteen, ma di sicuro maggiormente "a fuoco" nelle preponderanti parti elettroniche. Nel periodo più favorevole per le reunion, anche i Blur si rimettono insieme per un mega concerto evento ad Hyde Park. Tell All The People (2009 - ***) è la fotografia sbiadita di un gruppo che sembra aver smarrito la motivazione necessaria per fare musica insieme. Questo doppio album è niente di più di una celebrazione sterile. |