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BOB DYLAN Discografia anni '80 - '90 - '00 - '10

La seconda parte della trilogia religiosa si intitola Saved (1980 - **) ed è album noioso fino all'inverosimile. Bob Dylan si è un po' troppo immedesimato nel ruolo di evangelista e la cosa non gli dona più di tanto.

Nonostante l'orribile copertina, Shot Of Love (1981 - ***), è decisamente più gradevole del predecessore diretto. Innanzi tutto ci sono sia canzoni religiose, sia brani laici; poi Bob tira fuori dal cilindro due canzoni memorabili; una per categoria. La sua migliore canzone gospel si intitola Every Grain Of Sand ed è oggettivamente da brividi. Sul versante laico giganteggia invece Lenny Bruce, dedicata al famoso comico del dopoguerra, ma con una poetica che strizza l'occhio al Don De Lillo di Underworld.

 

L'ironia porta Dylan ad intitolare il passo successivo Infidels (1983 - ***1/2). Si tratta di un album rock piuttosto incisivo con Mark Knopfler, Mick Taylor ed Ashley Dunbar come ospiti. Il singolo Jokerman lo riporta in classifica e poi ci sono altri gioielli come Sweetheart Like You e Neighborhood Bully (quest'ultima molto critica verso la politica estera centroamericana del governo Reagan).


Real Live (1984 - **1/2) è l'ennesimo disco dal vivo di infimo spessore (registrato in parte all'Arena di Verona). Si segnala per la presenza di musicisti notevoli (Mick Taylor, Ian McLagan e Carlos Santana) e per curiose versioni di Tombstone Blues e Tangled Up In Blue.

Empire Burlesque (1985 - **1/2) inaugura un lungo periodo in cui i dischi del nostro si fanno mediocri e di maniera, pur contenendo alcune gemme che ricordano a tutti l'inimitabile classe. In questo caso le canzoni da ascoltare sono I'll Remember You, When The Night Come Falling, Emotionally Yours e la bella ballata folk Dark Eyes (che sembra uscire dritta dalle sessions di Another Side).

Più o meno sullo stesso livello è Knocked Out Loaded (1986 - **1/2), che inaugura la collaborazione con Tom Petty & The Heartbreakers. Nell'insieme l'album è più gradevole del predecessore, ma non ci sono brani che spiccano in modo particolare (anche se la lunga Brownsville Girl è il simbolo di questa scaletta).

Lo spreco continua con Down In The Groove (1988 - **1/2), in cui la presenza di ospiti del calibro di Eric Clapton e Ron Wood non viene sfruttata a dovere. Fa rabbia ascoltare in mezzo a tanta banalità due canzoni del calibro di Silvio e di Death Is Not The End.

Per un biennio Dylan fa parte del super gruppo dei Travelin' Wilburys con Tom Petty, Jeff Lynne, Roy Orbison e George Harrison. Un paio di gradevoli album all'insegna di un facile country pop e niente di più.

Una delle occasioni perdute più incredibili della storia è l'incontro tra Bob Dylan ed i Grateful Dead, immortalato dal pessimo live album Dylan & The Dead (1989 - **). Jerry Garcia & soci sono da sempre grandi estimatori di Dylan (lo dimostrano cover dylaniane che hanno segnato la loro carriera come Simple Twist Of Fate o Quinn The Eskimo). Qui però non funziona niente. Lo scarso professionismo delle due entità incide in negativo sul connubio; si salva solamente una bella versione di Queen Jane Approximately.

L'incontro con il produttore canadese Daniel Lanois e con la magica città di New Orleans (molti musicisti coinvolti nelle sessions sono del giro dei Neville Brothers, che poco prima avevano pubblicato il capolavoro Yellow Moon), porta alla registrazione del bellissimo Oh Mercy (1989 - ****). Erano anni che Bob non escogitava una scaletta di questo livello, con gemme come Political World, Where Teardrops Fall, Everything Is Broken, Ring Them Bells, Most Of The Time, What Good Am I? e Shooting Star. Il meglio però arriva con l'incedere insieme minaccioso e misterioso della ballata Man In The Long Black Coat.

Il successo di Oh Mercy (mal) consiglia Dylan nel far uscire in fretta e furia Under The Red Sky (1990 - ***), che non ha certo lo spessore del predecessore. Piace però moltissimo l'anthem Cats In The Well. Intanto inizia il mitico (e tuttora in corso) Never Ending Tour, con il quale viene dato sfogo alla sua voglia di sperimentare arrangiamenti diversi ai classici del repertorio.

A dimostrazione che spesso Dylan riesce a nascondere i propri capolavori esce, accolto da grande emozione, lo splendido triplo The Bootleg Series Vol. I - III (1991 - ****1/2), che riprende canzoni mai pubblicate dal nostro in un trentennio di carriera. Qualche titolo? Talkin' Bear Mountain Picnic Massacre Blues, Talkin' John Birch Society Paranoid Blues, Wallflower, Farewell Angelina, Series Of Dreams e quella Blind Willie McTell misteriosamente lasciata fuori dalla scaletta di Infidels.

Good As I Been To You (1992 - ***) e World Gone Wrong (1993 - ***) sono due album gemelli formati esclusivamente da cover blues o folk. Due scalette acustiche, come ai vecchi tempi, con le quali Dylan dà sfogo alla sua sbalorditiva erudizione in fatto di "american popular music". Si segnalano belle versioni di Sittin' On The Top Of The World e di Ragged And Dirty.

 
 

Come poteva il principe della folk music resistere alla tentazione di partecipare alla celebre trasmissione MTV Unplugged? Dylan infatti non resiste e fa proprio bene poiché Unplugged (1994 - ***1/2) è disco senz'altro gradevole, con belle versioni di Desolation Row, Love Minus Zero / No Limit e With God On Our Side. Non male anche le due canzoni inedite (John Brown e Dignity).

Un'aurea funerea segna il nuovo incontro tra Bob e Daniel Lanois. Ancora una volta ne esce fuori un grande album, che si intitola Time Out Of Mind (1997 - ****) e potrebbe essere un disco di Nick Cave, tanto sono blueseggianti ed oscure le ballate qui presenti. Love Sick, Not Dark Yet (veramente notevole), Cold Irons Bound e la lunghissima Highlands, che rinverdisce i fasti di Sad Eyed Lady Of The Lowlands e di Brownsville Girl, sono i nuovi capolavori da mandare a memoria. Dylan diventa così il primo ed unico autore rock a piazzare almeno un capolavoro in ognuno dei suoi quattro decenni di attività. Il nuovo momento magico culmina con la vittoria dell'oscar per la migliore canzone originale (Things Have Changed).

Esce l'11 settembre del 2001 l'attesissimo Love And Theft (2001 - **1/2), un disco sostanzialmente in stile western swing, formato da una serie di autentici furti perpetrati da Dylan verso autori meno famosi. La critica lo osanna ma, ad eccezione di Tweedle Dee And Tweedle Dum, High Water (For Charley Patton) e Honest With Me, non ci sono brani da demandare ai posteri.

Ancora peggio è Modern Times (2006 - **), che si ricorda solo per il piglio decisamente rock blues di Rollin' And Tumblin'. Anche qui ci sono diverse cover mascherate.

La seconda grande racolta di inediti si intitola The Bootleg Series Vol. VIII - Tell Tale Signs (2008 - ****) e prende in considerazione il periodo successivo a Down In The Groove. Tra questi solchi c'è tantissimo ottimo folk blues ed il gioiello Mississippi, ancora una volta lasciata fuori inopinatamente dalla scaletta di un disco ufficiale (in questo caso Time Out Of Mind).

La collaborazione con David Hidalgo dei Los Lobos produce Together Through The Life (2009 - ***1/2), un album che piace più per il proprio stile à la Ry Cooder che per l'effettiva qualità delle canzoni. Comunque la scaletta è molto compatta e guidata dalla fisarmonica (strumento fino ad oggi poco considerato da Bob). Il pezzo forte si intitola This Dream Of You, ma è quasi fuorviante esprimere delle preferenze.

 
Nel 2012 esce Tempest (***), che addolcisce un poco le atmosfere del precedente disco, portandosi su territori decisamente country rock. L'iniziale Duquesne Whistle è subito una forza, ma poi arriva un po' di noia, che i continui inserti di violino e fisarmonica tentano di stemperare. Sul finale Dylan piazza tre belle ballate, anche se oggettivamente prolisse (Tin Angel, Tempest e Roll On John), ma prima è stato anche capace di inserire in scaletta l'orribile Soon After Midnight.

La questione è però la seguente: ha ancora senso recensire gli album di questa leggenda vivente? Secondo me ha molto poco senso. Diamogli il Nobel per la letteratura e togliamolo definitivamente dalla categoria dei comuni cantanti di canzonette.

L'uscita di Another Self Portrait (1969 - 1971): The Bootleg Series Vol. X (2013 - ****) mostra in modo incontrovertibile due cose: 1) che le Bootleg Series sono una delle operazioni discografiche più intelligenti e meritorie della storia; 2) che è sempre più vero che Dylan spesso ha finito per "dimenticare" nei propri archivi le canzoni migliori o le registrazioni più riuscite di quelle poi pubblicate 

In questa nuova veste (con inediti e versioni alternative) emerge un disco perduto che è effettivamente la logica prosecuzione del discorso country pop iniziato con Nashville Skyline. Il Self Portrait uscito nel 1970 oggi non desterebbe tutto quello scandalo di allora, ma è disco infinitamente peggiore di ciò che sarebbe potuto essere, almeno a giudicare dall'ascolto delle sessions in questione. Da non perdere la "de luxe edition", contenente la registrazione integrale dell'esibizione di Dylan + The Band al Festival dell'Isola di Wight del 1970.

Nel corso del 2014 esce la ristampa deluxe del famoso concerto tenuto a New York City per celebrare i trenta anni di carriera di Dylan The 30th Anniversary concert Celebration (1992 - ***) vede sfilare alcuni dei musicisti più importanti della storia, che rileggono a modo loro il repertorio del migliore fra tutti loro.
 

Da segnalare la sentita versione di Masters Of War realizzata da Eddie Vedder e Mike "Cookie" McCready dei Pearl Jam, lo stravolgimento soul che Stevie Wonder perpetua su Blowin' In The Wind, l'orgia blues che fuoriesce, grazie ad Eric Clapton, da Don't Think Twice, It's Alright. Forse però l'esecuzione più gradevole è quella di Richie Havens alle prese con Just Like A Woman. Alla fine di tutto arriva sul palco lo stesso autore, che si autocelebra con It's Alright Ma (I'm Only Bleeding), My Back Pages, Knockin' On Heaven's Door e Girl From The North Country.

 
A fine 2014 esce un tesoro dall'inestimabile valore storico. The Complete Basement Tapes (****) mette ordine, nello spazio di sei cd, alla travagliata storia dei nastri della cantina. Qui ci sono proprio tutte le registrazioni di Dylan e soci in quel di Big Pink, comprese ovviamente quelle già edite perché presenti sul bootleg Great White Wonder e sullo scarno doppio The Basement Tapes.

Come già detto da Greil Marcus nel suo acuto saggio La repubblica invisibile, questi nastri, pur incompleti e spesso di bassa qualità, rappresentano un compendio incredibile di tutti gli stili fondanti della musica popolare americana. Pianoforti honky tonk, chitarre rock e ritmica country si rincorrono per ore ed ore di materiale, nel quale ci sono ovviamente i capolavori This Wheel's On Fire, Don't Ya Tell Henry (che ricorda da vicino lo spirito delle Seeger Sessions di Springsteen), Million Dollar Bash, You Ain't Going Nowhere, Tears Of Rage o I Shall Be Released, ma anche tanti blues, pezzi tradizionali e qualche chicca del livello di Young But Daily Growing. L'insieme forse non è bellissimo, ma è fondante per lo sviluppo del rock negli anni '70.

Negli anni '60 Bob Dylan e Frank Sinatra stavano negli angoli opposti del ring della pop music. Il primo era il profeta del verbo poetico / rock n'roll, il secondo l'esempio più fulgido della canzone sentimentale e conservatrice.
Con Shadows In The Night (2015 - **1/2) Dylan reinterpreta a sorpresa quindici classici provenienti dal repertorio di Sinatra, ma il disco non è del tutto riuscito e non certo per motivi strettamente ideologici.
 

Scopertamente questa operazione artistica ha come punto di riferimento il mitico Stardust (1978) di Willie Nelson, che intese sottolineare la vicinanza, talvolta anche stilistica, tra la grande country music d'autore ed i grandi classici del canzoniere pop. Dylan però non possiede il carisma interpretativo del vecchio Willie e tra questi solchi appare soltanto vecchio e stanco. Altro motivo di delusione è la decisione di ridurre al minimo gli interventi degli strumenti a corda. Un Frank Sinatra reinterpretato davvero a Nashville sarebbe stata un'occasione da leccarsi i baffi. Sostanzialmente questo album è noioso e fiacco. Brutto non riesce proprio ad esserlo perché il repertorio lo impedisce del tutto.

Il dodicesimo volume delle Bootleg Series, è un cofanetto sestuplo che si intitola The Cutting Edge 1965 - 1966 (2015 - **1/2), il quale ci fa scoprire le varie versione alternative ed i provini relativi alla formidabile trilogia elettrica del biennio in questione.   
Va da sé che si tratta di canzoni che hanno fatto la storia della musica popolare (quella con la "S" maiuscola), ma è altrettanto vero che si tratta di un periodo già abbondantemente coperto da diverse precedenti uscite discografiche. E' poi sommamente da feticisti ridursi ad ascoltare ripetizioni e ripetizioni di Like A Rolling Stone. Per i completasti segnalo che comunque l'album con gli scarti più interessanti è Blonde On Blonde (ascoltarsi la versione alternativa di Visions Of Johanna tanto per gradire). Esiste anche una versione ridotta del cofanetto in un maggiormente accessibile doppio cd.
 
Fallen Angels (2016 - **1/2) continua l'esplorazione di Bob Dylan all'interno delle canzoni e dei temi amati da Frank Sinatra. L'album ricalca perfettamente i pregi ed i difetti del precedente, ma in questo caso ci sono decisamente canzoni più famose.

I fans di questa svolta da crooner troveranno motivi per lodare ancora di più il suo genio, i detrattori si arrabbieranno ancora di più perché Dylan "rovina" alcune pietre miliari della musica americana. In ogni caso secondo me dovrebbe essere archiviato nella lista "deliri autocompiacenti dylaniani".

 

Bob Dylan, fresco di comquista del Premio Nobel per la letteratura, decide di esagerare: conclude la sua personale trilogia degli standard della canzone americana addirittura......con una trilogia! Triplicate (2017 - **1/2) è infatti un triplo cd (anche se di durata limitata ad un'ora e mezza) pieno di altre canzoni leggendarie, questa volta anche mai cantate da Frank Sinatra.
 

Ci sono in compenso pezzi indimenticabili, interpretati praticamente da tutti i jazzisti più importanti. Il risultato ricalca i due album precedenti, con poco spazio alla strumentazione folk e country, in favore di una classicità che non sembra interamente nelle corde del nostro. Ogni grande fan di Dylan non aspetta altro che il mito riprenda, prima o poi, a scrivere nuove canzoni.

  Lorenzo Allori