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DAVID BOWIE Discografia anni '80 '90 '00 '10

La stimolante epoca del post punk e della new wave contagia molti vecchi dinosauri del rock. David Bowie partecipa alla festa con l'ottimo Scary Monsters (1980 - ****), caratterizzato dalla partecipazioni di tre generazioni di divinità della chitarra elettrica come Tom Verlaine (Television), Robert Fripp (King Crimson) e Pete Townshend (The Who);

 
il resto lo fa lui stesso con brani della qualità di Fashion, di Scary Monsters (And Super Creeps) o (soprattutto) di Ashes To Ashes.

Dal post punk al new romantic, lo si sa, il passo è breve. David Bowie rivaleggia con Duran Duran e Spandau Ballet nelle classifiche di tutto il mondo grazie al pop sintetico di Let's Dance (1983 - **1/2). La title track è una delle canzoni più famose di David, mentre viene ripescata anche China Girl, regalata qualche anno prima ad Iggy Pop. Questa volta il chitarrista è Nile Rodgers (Chic) e la differenza con Robert Fripp è evidente anche alle orecchie di un profano.

Gli anni '80 di Bowie proseguono all'insegna di un pop banale e risaputo. Cristiane F. (1982 - **), Tonight (1984 - **), Labyrinth (1986 - *), Never Let Me Down (1987 - *) sono un vero disastro e non rendono giustizia all'autore.

Il risultato deludente delle ultime prove spinge David a fondare una vera e propria band in odore di hard rock tecnologico. I Tin Machine sono formati, oltre che da Bowie, dal chitarrista Reeves Gabriels, dal bassista Tony Sales e dal batterista Hunt Sales. Tin Machine (1989 - **1/2) è un successo artistico, se paragonato alle prove immediatamente precedenti, ma è un'amara delusione per chi si aspettava un ritorno ad un livello di alta qualità; un'amarezza che Baby Can Dance proprio non riesce ad addolcire.

Il seguito della storia, intitolato Tin Machine II (1991 - ***), risulta leggermente più melodico e gradevole dell'esordio della band. Niente di indimenticabile, ma Baby Universal e One Shot si lasciano ascoltare con tiepido entusiasmo.

Il progetto Tin Machine si chiude con la pubblicazione dell'album dal vivo Live: Oy Vey, Baby (1992 - **1/2), un concerto in cui la stanchezza dei protagonisti sembra evidente. Goodbye Mr. Ed è comunque il miglior momento della scaletta.

Il ritorno del "Duca bianco" ad una condizione accettabile di forma lo si ha con l'album Black Tie White Noise (1993 - ***), in cui ci si riappropria dello stile che aveva reso Scary Monsters un gran lavoro. Accanto a buone canzoni autografe (The Wedding, Black Tie White Noise), la scaletta allinea anche cover del livello di I Feel Free (The Cream) e I Know It's Gonna Happen Someday (Morrissey).

Con la sottovalutata colonna sonora di The Buddha Of Suburbia (1994 - ***), David Bowie si pone alla testa del movimento brit pop, che del resto ha ben più di un debito con lui (Pulp, Gene, Manic Street Preachers ed ovviamente Suede). La title track è assolutamente da riscoprire. Ci sono poi diversi momenti che riportano alla mente la gloriosa collaborazione con Brian Eno.

1. Outside (1995 - ****1/2) è la prima parte di un ambiziosissimo progetto che contemplerebbe l'uscita di un album per ogni anno fino alla fine del millennio. Il progetto viene presto abortito, ma questo album è veramente spettacolare. Con l'aiuto di nuovo di Brian Eno, il nostro ci racconta le vicende surreali di Nathan Adler, detective proveniente da un futuro prossimo, sinistramente simile a quello di Blade Runner. Dal punto di vista musicale David torna sui vecchi passi di Heroes (la canzone) in Outside, A Small Plot Of Land e No Control; flirta con le nuove tendenze elettroniche con Hello Spaceboy; torna a farsi visitare dal "demone" di Robert Fripp in The Heart Filthy Lesson e ci riprova con il pop commerciale (Strangers When We Meet). Storia incompleta, ma terribilmente affascinante.

L'esplosione di consensi ottenuta negli anni '90 da generi come il trip hop, la techno, il drums n'bass e la jungle, consigliano David a lanciarsi con convinzione verso l'elettronica più spinta. Ne viene fuori un disco di notevole livello, intitolato Earthling (1997 - ***1/2), che all'epoca venne poco considerato perché paragonato alla "milestone" Ok Computer dei Radiohead. Andrebbero invece sicuramente riscoperte canzoni belle e fiere come Dead Man Walking, I'm Afraid Of Americans, Little Wonder e soprattutto Battle For Britain (The Letter).

Un ritorno a sonorità più pop ed adulte viene realizzato con l'album Hours (1999 - **1/2), album che riporta David nelle parti alte delle classifiche, ma che risulta anche parecchio contraddittorio. Le iniziali Thursday's Child e Something In The Air sono buone canzoni, ma poi le promesse non vengono mantenute nel seguito della tracklist.

Bowie At The Beep (2001 - ***1/2) è un cofanetto in tre cd che intende raccontare il rapporto tra Mr. Jones e la BBC. Nei primi due cd sono presenti pregevoli cartoline provenienti dal periodo 1969 - 1973 (molto belle John I'm Only Dancing e la cover di I'm Waiting For The Man dei Velvet Underground), il terzo cd prevede invece la registrazione integrale di un concerto londinese del 2000. Perfect Beginners e Wild Is The Wind sono i momenti migliori di un ottimo show.

Troppe cover e molta incertezza sulla direzione da prendere caratterizzano il deciso passo indietro di Heathen (2002 - **). La sola Slip Away è degna di cotanto passato. Anche Reality (2003 - **) purtroppo non brilla per la qualità generale. Sembra che Bowie stia rivivendo il periodo di appannamento cronico dei propri anni '80 e per i fans questo non è certo una buona notizia.

Storytellers (2009 - ***) è una performance live molto corta in cui David rilascia anche un'intervista tra una canzone e l'altra (molti grandi classici e poche sorprese). Nella confezione sono presenti un cd ed un dvd. Si tratta di un disco tratto da una puntata di una fortunata serie di MTV figlia dello stesso concetto che ha reso la serie Unplugged un successo internazionale.

Come Storytellers era risultato alla fine troppo corto, cosi' A Reality Tour (2010 - ***1/2) rischia di rimanere indigesto per l'esagerata lunghezza. Resta comunque il fatto che questo è il vero ed unico live album che racchiude ogni sfaccettatura del poliedrico artista. E' anche l'occasione per riascoltare alcuni brani di David Bowie (All The Young Dudes su tutti) che hanno contribuito a definirne la leggenda, ma che non sono stati spesso eseguiti dall'autore.

  Dopo vicissitudine di salute e la sensazione che David si sia ritirato a vita privata, nel 2013 esce a sorpresa un nuovo album. The Next Day (***1/2) non è il capolavoro annunciato da parte della critica, ma può contare su una geniale copertina che cita Heroes ed insieme ci mostra un primo piano di David provato da età ed acciacchi vari.

La confezione ovviamente non è tutto perché servono le canzoni di qualità per decretare la riuscita di un album. Detto, fatto: la title track, The Stars (Are Out Tonight), Love Is Lost e Heat rappresentano un poker d'assi capace di riconciliarci finalmente con uno dei più grandi autori della storia del rock britannico.

I due straordinari singoli Blackstar e Lazarus hanno annunciato al mondo l'avvento del miglior album di Bowie fin dai tempi di Outside. Blackstar (2016 - ****) allinea sette brani (per 42 minuti di musica) di notevole livello, andando a sviluppare perfettamente certe intuizioni già avute dal nostro nel passato.  
Due su tutte: l'utilizzo del sax in chiave prettamente hard rock (da applausi l'apporto di Donny McCaslin, proveniente dall'avanguardia jazz) e la rielaborazione dei pattern elettronici per sostenere i recitativi (Bowie ha detto di essersi ispirato soprattutto a To Pimp A Butterfly, innovativo album del 2015 del rapper americano Kendrik Lamar). C'è naturalmente spazio anche per le ballate e, benché un tantinello sdolcinata rispetto al resto dell'album, devo ammettere che Dollar Days è una bella prova di eleganza senza tempo. Con David Bowie però le sorprese sono sempre dietro l'angolo. A soli due giorni dalla pubblicazione ufficiale di Blackstar, viene annunciata la notizia della sua morte. Aveva 69 anni. Blackstar assume il rilievo di un testamento sonoro, scritto e suonato durante una lunga e penosa malattia.
 

No Plan (2017 - ***) è un ep che riunisce i vari inediti ascoltati nella colonna sonora del musical Lazarus. Ovviamente poi c'è anche l'emozionante Lazarus (la canzone), la quale rimane uno dei vertici assoluti dell'arte bowieiana degli ultimi anni. Dei tre inediti uno è decisamente riuscito (Killing A Little Time), uno si lascia ascoltare ma non sconvolge (When I Met You) ed infine il terzo (No Plan) cerca di replicare le atmosfere sperimentali di Blackstar, senza però riuscirci un granché.

In definitiva si tratta di un ep necessario soltanto per i completisti.

 Lorenzo Allori