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LED ZEPPELIN Discografia

 

Jimmy Page è un turnista di alto livello del rock britannico (ha partecipato alle registrazioni di brani simbolo come ad esempio My Generation degli Who) quando diventa il bassista degli Yardbirds. Con la fuoriuscita del leader Jeff Beck, Page ne diventa l'erede alla chitarra solista nella gloriosa formazione pioniera dell'hard rock. Dopo il controverso album dal vivo Live Yardbirds (1968), Page decide di sciogliere il complesso per formarne uno nuovo insieme ad un altro famoso turnista di nome John Paul Jones (basso, tastiere) ed a due autentici sconosciuti come Robert Plant (voce, armonica) e John "Bonzo" Bonham (batteria). Il gruppo assume il nome provvisorio di New Yardbirds, ma successivamente ad un incendiario concerto al Fillmore West di San Francisco, il nome viene modificato nel più pertinente Led Zeppelin (come il famoso dirigibile): una denominazione che raffigura perfettamente "il volo" vertiginoso evocato dagli intrecci strumentali realizzati da questi quattro portentosi musicisti.

  Led Zeppelin I (1969 - ****) è già una gran cosa, ma soffre il fatto di essere stato "assemblato a coppie". Tra i solchi di questo album ci sono infatti due cover di blues classico, tratte dal repertorio del grande contrabbassista Willie Dixon (You Shook Me, I Can't Quit You Baby), due brani in odore di folk (Babe I'm Gonna Leave You, Black Mountain Side), due maratone a forti tinte psichedeliche (Dazed And Confused, How Many More Times) ed infine due scoppiettanti brani hard rock che annunciano la nuova strada da battere (Good Times Bad Times, Communication Breakdown).

Solo Your Time Is Gonna Come (peraltro non indimenticabile) sfugge a questo "gioco delle coppie". Dazed And Confused (I'm Confused), Black Mountain Side (White Summer) e I Can't Quit You Baby facevano già parte del repertorio degli Yardbirds, ma i Led Zeppelin pongono già chilometri di distanza tra la sicurezza mostrata in questo esordio e le prove dei balbettanti progenitori.

La straordinaria risposta del pubblico consiglia la band nell'assemblare in fretta un degno successore già durante il secondo lunghissimo tour americano. Per molti (me compreso) Led Zeppelin II (1969 - *****) è il miglior album di una carriera leggendaria. Si tratta di una sinfonia hard blues forte e sicura, in cui riescono ad essere perfettamente "a fuoco" anche brani senza dubbio minori come la ballata Thank You o il country blues Living Loving Maid (She's Just A Woman). Con una serie di "furti con destrezza" i quattro Zeppelin si impossessano della grande tradizione del blues elettrico di Chicago (Bring It On Home, Whole Lotta Love, The Lemon Song) e lo trascinano di peso nei tempi moderni dell'hard rock. I momenti migliori del disco si hanno con l'assolo di batteria di Moby Dick (che vuole essere una risposta di Bonham alla Toad di Ginger Baker), con il riff leggendario di Whole Lotta Love, con l'estasi trita-tutto di Heartbreaker, con la power ballad What Is And What Should Never Be e "last but not least" con l'incredibile hard folk di Ramble On.

Un lungo e bucolico soggiorno in Galles a casa Plant e l'ammirazione per gli eroi del folk revival britannico (Fairport Convention e Strawbs su tutti), fanno propendere il gruppo verso un repertorio più leggero rispetto al recente passato. Led Zeppelin III (1970 - ****) è stato album osteggiatissimo all'epoca, la cui qualità viene però rivalutata di anno in anno. I brani feroci si riducono a tre (il proto heavy metal di Immigrant Song, l'orgia batteristica di Out On The Tiles e Celebration Day) ed abbondano viceversa le canzoni acustiche e folk. Friends per esempio è il primo esperimento della band con le accordature aperte, That's The Way profuma di California, mentre Gallows Pole recupera un antico brano del XVII secolo (come sono soliti fare proprio i Fairport Convention). Su tutto e tutti domina però lo slow blues definitivo: Since I've Been Loving You, mentre stupiscono favorevolmente anche gli accenti poppeggianti dell'esotica Tangerine.

Con la consapevolezza dei forti i quattro realizzano con Led Zeppelin IV (1971 - *****) il loro lavoro più ambizioso. I contrasti tra la dolcezza del folk e le progressioni hard rock guidate dal pesante pedale di Bonzo producono due gioielli del calibro di The Battle Of Evermore (cantata in duetto con Sandy Denny dei Fairport Convention) e Stairway To Heaven. Sono poi assolutamente sopra la media Black Dog (modellata sulla famosa Oh Well part II dei Fleetwood Mac), Rock N'Roll (con Ian "Stu" Stewart dei Rolling Stones ospite al pianoforte) e l'ennesimo acquarello folk intitolato Going To California.

Dopo il successo milionario del singolo Stairway To Heaven, l'attesa per il successore del IV diventa spasmodica. Houses Of The Holy (1973 - ****) è un disco notevole, ma è senz'altro quanto di peggio abbia prodotto il gruppo fino a quel momento. Quello che non convince è il ritorno all'enciclopedismo del primo album, con inconsistenti incursioni nei ritmi del funk (The Crunge), del progressive (No Quarter, con un ipnotico assolo tastieristico di John Paul Jones) e perfino nel reggae (D'Yer Maker). Piacciono viceversa le oscillazioni che sanno molto di Who di The Song Remains The Same, i raffinati arpeggi alla dodici corde di The Rain Song e due brani destinati a fare faville dal vivo come Over The Hills And Far Away e The Ocean.

Con il doppio album Physical Graffiti (1975 - ****) il dirigibile riprende quota alla grande. I tre brani iniziali (Custard Pie, The Rover, In My Time Of Dying) sono eccellenti e servono ad introdurre una scaletta forse un po' prolissa, ma ricca di spunti interessanti. Houses Of The Holy e The Wanton Song rafforzano il lato hard rock del gruppo, Trampled Underfoot è funky alla maniera degli Headhunters e strappa vendite ed ammirazione, infine l'affresco arabeggiante di Kashmir rappresenta forse la topica definitiva della batteria rock.

Presence (1976 - ***) è l'album più duro della carriera del gruppo, una sorta di Led Zeppelin II vitaminizzato. La scaletta ruota intorno a due delle canzoni più belle dell'intera storia del gruppo: Nobody's Fault But Mine e Achilles Last End, ma il resto non è certo all'altezza di così tanta grazia. Non dispiacciono For Your Life ed il ritmo "crescent city style" di Royal Orleans.

Il doppio dal vivo The Song Remains The Same (1976 - **1/2) non riesce a catturare l'eccitazione di un concerto dei Led Zeppelin. Il gruppo sembra stanco e la voce di Robert Plant è come appannata. Si salvano una bella versione di No Quarter e la durissima apertura di Rock N'Roll.

In Through The Out Door (1979 - **) è l'album in studio peggiore dei Led Zeppelin. Un insensato suono tastieristico travolge la chitarra di Page e la batteria di Bonham e porta pericolosamente la band dalle parti dei Genesis più gigioni (quelli di Phil Collins). Il singolo All My Love è di una pochezza disarmante, così come l'estenuante orgia sintetizzata di Carouselambra. A mio giudizio sono degne di nota solo l'iniziale In The Evening e la divertente divagazione latina di Fool In The Rain.

Il gruppo si scioglie dopo la tragica morte del batterista John Bonham. Si ha il tempo solo di fare uscire in fretta e furia la raccolta di scarti e b-side intitolata Coda (1982 - ***). E' un cd più che dignitoso, soprattutto nella versione rimasterizzata, che comprende un bel bluesaccio come Who's Gonna Groove, l'interessante cover di Travelling Riverside Blues (Robert Johnson), la versione live migliore di sempre di I Can't Quit You Baby, il saporoso country rock di Hey Hey What Can I Do? ed infine l'improvvisazione strumentale Bonzo's Montreux, ovvero l'ennesima scusa per riascoltare una delle batterie più strabilianti della storia del rock.

Il doppio BBC Sessions (1997 - *****) è il live più degno di nota uscito dagli archivi di Page & soci. Vengono fotografati gli Zeppelin migliori (quelli dei primi quattro dischi) con le versioni sopra le righe di Stairway To Heaven, Whole Lotta Love e Heartbreaker. Il secondo cd è un concerto integrale registrato a Londra il 1 aprile del 1971.

Addirittura sono tre i cd che compongono il monumentale How The West Was Won (2003 - *****), un album sicuramente bello e ben confezionato (da qui la votazione eccellente), ma che non raggiunge la carica delle più "povere" BBC Sessions. Ascoltando i due dischi in sequenza si ha la perfetta cronistoria dell'imborghesimento di una rock band straordinaria. Qui viene documentato il tour americano del 1974 (con il quale fu stabilito il record di biglietti staccati in tour rock).

A seguito della morte del loro mentore Ahmet Ertegun, i Led Zeppelin si sono rimessi insieme per un'unica data londinese (10 dicembre 2007). Alla batteria siede Jason Bonham (il figlio di John) ed i Led Zeppelin sono una pallida versione della macchina da guerra che fu.
Celebration Day (2012 - ***) non è del tutto malvagio, ma solo poche canzoni riescono a riaccendere la scintilla (For Your Life, Nobody's Fault But Mine, Since I've Been Loving You, Black Dog e Kashmir). La scaletta penalizza incomprensibilmente i brani folk (Gallows Pole per esempio, oppure la discutibile scelta di suonare Ramble On interamente elettrica) ed i grandi cavalli di battaglia live (The Ocean, Over The Hills And Far Away, Heartbreaker, Out On The Tiles, Immigrant Song). 

Questa è però l'unica occasione per ascoltare dal vivo alcuni pezzi che il gruppo aveva sempre avuto "timore" a suonare per le loro evidenti complicazioni tecniche (Nobody's Fault But Mine, In My Time Of Dying, Ramble On). Il tanto vituperato Jimmy Page, responsabile di una carriera post dirigibile praticamente indecorosa, appare il più a suo agio sul palco, mentre Robert Plant proprio non ce la fa a raggiungere certe note troppo acute (il finale di Stairway To Heaven, cambiato di tonalità, grida vendetta).

  Con l'occasione dell'ennesima rimasterizzazione degli album del dirigibile, esce l'ottimo Live à l'Olympia (1969 - ***1/2). Il concerto parigino (datato 10 ottobre 1969), più volte oggetto di bootleg in passato, viene allegato al cd del primo album. Si tratta di un esempio fulgido di come fossero i Led Zeppelin psichedelici del primo periodo.

Tra lunghe tirate lisergiche (Dazed And Confused, How Many More Times, White Summer / Black Mountain Side) e slow blues trasfigurati (le "dixoniane" You Shook Me e I Can't Quit You Baby), si intuisce la rivoluzione hard rock di là da venire. Ci sono anche un paio di anticipazioni del secondo album (Heartbreaker, Moby Dick).

  Lorenzo Allori