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My name is Barry, John Barry

 

Le dieci mosse vincenti dello 007 delle sette note

Ci ha lasciato lo scorso 30 gennaio, a 77 anni. Era uno dei più grandi maestri delle soundtrack cinematografiche, il Morricone inglese. John Barry. Cinque Oscar (due per Nata libera, e poi Il leone d'inverno, La mia Africa e Balla coi lupi). Le colonne sonore delle migliori pellicole dell'agente segreto più famoso del mondo, James Bond. Potrebbe bastare, probabilmente, per qualsiasi musicista. Barry è tuttavia stato anche, e forse soprattutto, la voce musicale della swinging London, sospesa tra il glamour e le paure della guerra fredda (The Knack, The Ipcress File, Quiller Memorandum e l'immortale sigla dei nostri "Attenti a quei due", The Persuaders). Ha poi composto in trent'anni un'incredibile quantità di temi di successo per film più e meno validi, sviluppando un sound sontuoso e malinconico che si è progressivamente sviluppato in chiave orchestrale, allontanandosi dalle originarie inflessioni jazz e beat.

Le sue ultime produzioni erano da tempo caratterizzate, per così dire, da una ‘nobile maniera'; eppure non mancava mai quell'aria un po' retrò da Londra sotto la pioggia, sottilmente inquietante, a ricordarci il trademark sonoro John Barry: quel ‘twang' della chitarra, quelle sospensioni minacciose degli archi, quei fiati assassini, quei languidi intermezzi tra jazz e lounge che tra Sixties e Seventies avevano creato un ‘luogo' del tutto nuovo del nostro immaginario pop. Qualsiasi fosse il film da sonorizzare, ci sembrava sempre che da un angolo potesse spuntare 007, o magari una sua versione più umana come Harry Palmer, l'agente segreto protagonista di The Ipcress File. Barry era così. Anche nelle scene di felicità ed amore, le sue note evocavano tensione, come a farci capire che quel sentimento, come tutti, era destinato a svanire, prima o poi. E i suoi ‘larghi' appassionati per archi, che provenivano dalla tradizione classica di Bruckner e Barber, sembravano assicurarci che comunque, qualsiasi fosse l'impedimento che dovevano affrontare, i protagonisti dei film in oggetto avrebbero lottato per quello che ritenevano giusto, al massimo delle loro possibilità. La discografia di Barry è sterminata, e non sempre rintracciabile con facilità. Le compilation si sprecano, mentre non è facile mettere le mani sulle Original Soundtracks. I consigli che seguono mirano ad individuare dieci CD imprescindibili e non troppo difficili da recuperare. Ci sono sette colonne sonore, alcune famosissime (tra cui due Bond); due compilation tra le migliori disponibili e un bel disco orchestrale, The Beyondness of Things, tra le ultime cose da lui composte. Pronti all'ascolto, allora. E guardatevi le spalle...

 

Agente 007 - Missione Goldfinger (1964)

 

Il tema di 007 che tutti conosciamo fu in realtà composto da Monty Norman e solo arrangiato da Barry, che lo utilizzò già per Licenza di uccidere (Dr.No, 1962) e lo ripropose per il successivo Dalla Russia con amore. Si deve però a Goldfinger la vera nascita del Bond Sound: quell'orchestra killer di archi minacciosi e di ottoni brillanti che Barry riprendeva dall'esperienza con i John Barry Seven. Musica d'azione di grande presa e brevi interludi romantici, ma soprattutto tensione da tagliare a fette. E, chiaramente, una canzone da brivido: la Goldfinger di Shirley Bassey, cantata con un trasporto tale da non farci proprio immaginare che lei, di quel testo, non aveva capito assolutamente niente!

 

The Knack... And how to get it (1965)

 

"The Knack" è in italiano ‘quel certo non so che', il fascino che ti permette di rimorchiare le ragazze più belle senza mai perdere il tuo impeccabile aplomb cool. Il film di Richard Lester metteva in scena tutta la sex craze dei sixties londinesi, tra eccitazione e ironia un po' sarcastica, ma gran parte del ‘knack' del film è dovuto proprio alla colonna sonora di Barry. Qualcosa come una sinfonia per organo, tromba e ritmi jazz e pop, con temi gustosissimi che pulsano sottopelle e fanno percepire come poche altre cose composte in Europa l'eccitazione della vita metropolitana e, beh... Immaginatevi di essere nella Londra del 1965 e di conoscere una giovanissima Jacqueline Bisset, che ebbe il suo primo ruolo proprio qui. Ecco, no? Appunto.

 

The Ipcress File (1965)

 

Il capolavoro. Per un film di spionaggio ironico ed amaro, ben lontano dal glamour di 007, Barry reinventa se stesso, cancella ogni traccia bombastica dalla musica e rende l'orchestra quasi invisibile. Mette invece in evidenza un tema malinconicissimo, costruito sul suono alieno del cymbalon, una cetra ungherese, e ne fa un set di variazioni blues e jazz da ora tardissima, quiete eppure inquiete, insinuanti e torbide. Il suono della guerra fredda, come ebbe a definirlo il critico Eddi Fiegel. E il miglior omaggio possibile a un altro capolavoro, Il terzo uomo di Orson Welles. Cinque stelle, e stiamo stretti.

 

The Lion in Winter (1968)

 

Senza voler nulla togliere ai dignitosissimi Born Free e Out of Africa, il più meritato tra gli Oscar a Barry è senz'altro quello per The Lion in Winter. La sfida era grossa: inventare una musica di impronta medievale che fornisse un background credibile alla storia di Enrico II Plantageneto (il ‘leone in inverno' del titolo), di sua moglie Eleonora d'Aquitania e dei suoi figli Riccardo (Cuor di Leone) e Giovanni (Senzaterra), ricostruita con un cast di divi quasi hollywoodiano (Peter O'Toole, Katherine Hepburn, Anthony Hopkins). Ma Barry andò oltre le richieste: si servì delle modalità del canto gregoriano e dette al suo score un sapore barbarico, solenne, grandioso, che ‘saltò sopra' al film guidandolo verso un destino di successo. Con momenti corali da pelle d'oca, come Eleanor's Arrival e Eya Eya Nova Gaudia, emozionanti come poche altre cose che Barry abbia scritto.

 

Agente 007 - On Her Majesty's Secret Service (1969)

 

OHMSS è senz'altro la migliore Bond soundtrack, anche considerando Goldfinger, ed è curioso pensare che sia stata destinata a un film senz'altro tra i migliori della serie, ma condannato dalla non-presenza di un attore come George Lazenby, del tutto incapace di reggere il confronto col fantasma di Sean Connery. Musicalmente, invece, tutto funziona al meglio: una canzone notevole (We Have All the Time in the World, l'ultima performance del grande Louis Armstrong), un languido pezzo jazz-lounge come Try e un main theme strumentale da brividi, che si accompagna a tanta eccellente suspence music, come This Never Happened to the Other Feller e Journey to Blofeld's Hideaway.

  

Midnight Cowboy (1969)

Ovvero il nostro Un uomo da marciapiede. Tutti lo ricordiamo per la splendida Everybody's Talkin' di Harry Nilsson (che poi era di Fred Neil) ma anche per quello struggente tema all'armonica che accompagnava Jon Voight e Dustin Hoffman nella discesa negli inferni di New York. 

Quel tema era di John Barry, che oltre a comporre altri quattro brani aveva supervisionato l'inclusione nella soundtrack di alcune canzoni del periodo (ad esempio Warren Zevon e gli Elephants' Memory), interpretando a meraviglia, da straniero, le lusinghe e le insidie della giungla metropolitana americana, quasi fosse il rovescio negativo dell'estasi erotica di The Knack. I sixties passavano, arrivavano i ben più cattivi seventies, e la gioia del sesso libero si trasformava nello ‘stallone americano' Voight che cercava (non trovandola) fortuna a New York appunto come ‘uomo da marciapiede'. Attraversando droga, ebbrezza, rabbia, solitudine, morte, per scappare infine in Florida. Anche stavolta la musica composta e selezionata da Barry si adatta alla storia come un guanto, con due capolavori assoluti: il tema sopracitato (Midnight Cowboy) e Fun City, forse il brano jazz-lounge definitivo del suo autore. Cinque stelle anche qui, e se voleste avvicinarvi a Barry per la prima volta potrebbe non essere una cattiva scelta.

 

Playing By Heart (1999)

 

Un salto di trent'anni e di una generazione, se da Jon Voight passiamo alla figlia Angelina Jolie, che in questo film (da noi conosciuto come Scherzi del cuore) ha avuto il suo primo ruolo di rilievo. Tornano a galla le radici jazz che negli ultimi anni erano emerse solo in Body Heat e The Cotton Club, per una serie di pezzi romantici e sommessi, da late night hours, guidati dalla tromba di Chris Botti in rispettoso omaggio al sommo Chet Baker. Da ascoltare mille volte, in infinite repeat, il tema principale, Remembering Chet: un gioiello di trattenuta passionalità.

 

The Beyondness of Things (1998)

 

L'anno prima di Playing By Heart Barry mise mano a una serie di brani orchestrali che, per una volta, non avevano una commissione filmica ma rispondevano a un bisogno ben più personale. Un viaggio interiore, di riscoperta, attraverso la musica, di angoli riposti e dimenticati della propria vita, dall'infanzia a York fino alla maturità e al definitivo trasferimento negli Stati Uniti. Un viaggio musicale che cresce progressivamente in una serie di brani orchestrali di grandissima qualità, ironicamente ben più ‘cinematici' di molte delle sue ultime colonne sonore. Gifts of Nature, The Fictionist, Dawn Chorus, fino all'eterea The Day the Earth Fell Silent, distillato immacolato e raffinato di tanta minacciosa Bond music. E a Dance with Reality, che mescola le carte proprio in chiusura e riapre alla vita e ai suoi ritmi, e al jazz, e all'inesauribile potere della musica.

 

The Best of John Barry - Themeology (1997)

John Barry - The Best of the EMI Years (1999)

 Themeology rimane la migliore delle compilation di Barry dedicate ai grandi hits. Contiene la supergemma The Persuaders e una opportuna selezione di Bond music (con la splendida Capsule in Space da You Only Live Twice). Non mancano i capolavori, né gli Oscar. Una perfetta introduzione, dunque, e un disco da avere. The Best of the EMI Years si concentra invece sulla produzione sixties e rivela alcune sconosciute perle jazz-beat di grande spessore. Due facce della stessa medaglia. D'oro, naturalmente.

 
 

Luca Perlini