Alla fine viene pubblicato anche Tonight's The Night (1975 - ****), il disco rifiutato che doveva essere il primo episodio della "trilogia del dolore" e che invece la chiuderà in gloria. E' il disco più elettrico del primo periodo della carriera di Young ed è estremamente compatto nello stile, nonché doloroso come un calcio di mulo in piena pancia. Spiccano la title track (divisa in due parti, forse per stemperarne la cruda disperazione) e l'unica ballata country rock intitolata Roll Another Number, che strizza l'occhio allo stile dei connazionali The Band. Con Zuma (1975 - ***1/2) viene messo definitivamente a fuoco il sound epico e potente di Neil Young & Crazy Horse. E' un album dalla qualità diseguale, con lunghi e splendidi affreschi elettrici (Cortez The Killer, Barstool Blues, Danger Bird) e purtroppo troppi riempitivi. Neil Young e Stephen Stills, i vecchi amici / nemici, si mettono insieme per realizzare il deludente Long May You Run (1976 - **1/2), del quale si ricorda solo la title track, che farà molta fatica ad uscire dalle scalette dei concerti per un ventennio buono. Uno dei dischi più venduti della carriera di Neil è purtroppo il pasticciato American Stars ‘N' Bars (1977 - **1/2), ancora una volta elettrico. Il successo è comunque assicurato dall'epica Like A Hurricane, sulla quale peraltro per anni penderanno diverse accuse di plagio. Il country rock torna nell'orizzonte artistico di Neil Young con il niente più che discreto Comes A Time (1978 - ***). Particolarmente bella la ballata Look Out For My Love e appena un passo indietro Human Highway e la cavalcata elettrica Motorcycle Mama. Mentre il punk rock mette in castigo i "dinosauri" del rock, Neil se ne esce con un album maestoso che benedice la furia delle nuove tendenze musicali. Rust Never Sleeps (1979 - *****), con peraltro uno dei titoli più incisivi della storia del rock, è diviso in due parti ben distinte: ad una prima parte deliziosamente folk (My My Hey Hey Out Of The Blue, Trasher, Ride My Llama, Pocahontas), si aggiunge una seconda parte super incazzata che ha nei Sex Pistols (con tanto di citazione per Johnny il marcio) il punto di riferimento. Ecco allora le devastanti Hey Hey My My (Into The Black), Powder Finger, Welfare Mothers e Sedan Delivery. Semplicemente eccezionale. Rust Never Sleeps era già album registrato in presa diretta, per questo il successivo doppio dal vivo Live Rust (1979 - ****) non sorprende più di tanto. Le atmosfere sono le stesse dello spettacolare predecessore. Molto belle le versioni rivedute e corrette di The Loner e Cinnamon Girl. La sbornia elettrica viene smaltita con l'ennesima escursione nel country rock acustico. Hawks & Doves (1980 - ***) non è episodio malvagio, ma sfigura di certo rispetto agli immediati predecessori, oltre ad essere di poco sotto anche al livello non certo eccelso di Comes A Time. Il contratto con la storica label Reprise si chiude con uno dei dischi più duri della carriera di Neil. Si intitola Re-Ac-Tor (1981 - ***) e rimane in mente soprattutto per l'inno simil punk Prisoners Of Rock N'Roll. Il nuovo contratto con l'ambiziosa Geffen si apre in modo sorprendente con un Neil Young ammaliato dalla wave elettronica dei Suicide. Ne viene fuori un album oltremodo gelido, amelodico e dove lo strumento guida è il sintetizzatore. Il disco si chiama Trans (1982 - **1/2) e rimarrà un oggetto alieno nella carriera del cantautore canadese. Inizia il periodo peggiore di una carriera monumentale. Neil Young sbanda e cerca rifugio nel rockabilly revival. Ne esce fuori il superfluo Everybody's Rockin' (1983 - **), sulla cui copertina Neil sembra il cugino scemo di Bill Haley. I cambi di rotta sono continui e repentini. Old Ways (1985 - **) è l'album più ortodossamente country della carriera di Neil Young. E' però un country di maniera e poppeggiante, non degno di cotanto autore. |