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QUEEN Discografia

 QUEEN  Discografia

In occasione delle nuove ristampe delle prime due antologie della “Regina”, ripercorriamo insieme un’epopea non sempre di altissimo livello, ma sicuramente affascinante ed unica nella storia del rock. I Queen da sempre sono formati da Freddie Mercury (al secolo Frederick Boulsara – pianoforte e voce), Brian May (chitarra), John Deacon (basso) e Roger Taylor (batteria e voce).

Nel 1973 esce il primo album, Queen I (***1/2), che li pone nel grande calderone del glam rock. Come Mott The Hoople, Roxy Music e compagnia bella, i Queen si truccano, indossano ridicole calzamaglie attillate e si cotonano i capelli. Rispetto agli altri però sfoggiano, fin da subito, una maggiore grinta rock ed anche una maggiore capacità di scrivere canzoni pop. La dimostrazione la si trova nel singolo Keep Yourself Alive, o nella simpatica sarabanda latineggiante di Liar. Freddie Mercury è un cantante “monstre”, mentre Brian May è chitarrista dallo stile unico ed inconfondibile.

 

Queen II (1973 - **) rappresenta un deciso passo indietro. Le canzoni sono involute e spesso strizzano l’occhio al prog rock. La critica li taccia subito di essere pretenziosi e tamarri (non sarà mai tenera con loro), ma il disco vende piuttosto bene grazie all’orecchiabile (fin troppo) singolo Seven Seas Of Rhye (part II). Per il resto spicca The March Of The Black Queen.

 

 Il 1974 è l’anno in cui il glam rock vede concludersi la propria spinta commerciale. Passata la moda, rimangono in vita solo le band che hanno davvero qualcosa da dire. Tra queste ci sono i Queen di Sheer Heart Attack (***1/2), sicuramente il loro album più duro in assoluto. Brighton Rock è un trampolino per il virtuosismo di Brian May, Stone Cold Crazy è una pura colata lavica proto metal (infatti la rivisiteranno anni dopo i Metallica), Now I’m Here è un grande pezzo hard rock, mentre in Killer Queen, Freddie mostra per la prima volta il suo gusto per il kitch. Sempre al limite del patetico, ma mai un passo oltre.

A Night At The Opera (1975 - ****) è il capolavoro del primo periodo. Un disco lanciato dall’incredibile “rock lirico” intitolato Bohemian Rhapsody, che li farà divenire famosi in tutto il mondo. Ma c’è molto altro tra questi solchi: il batterista Roger Taylor diventa cantante nella folkeggiante ’39 e nell’hard rock roboante di I’m In Love With My Car, il glam rock degli esordi rifà capolino nell’iniziale Death On Two Legs, Freddie Mercury regala il gioiellino acustico Love Of My Life, mentre perfino il silenzioso bassista John Deacon scrive il singolo You’re My Best Friend, inno gay guidato dal pianoforte elettrico. Il disco si chiude con l’interpretazione dell’inno nazionale britannico per sola chitarra elettrica, ma non è uno sfregio come The Star Spangled Banner di Jimi Hendrix, è semmai quasi un’autocelebrazione per la nuova nobiltà del rock inglese.

Dopo il grande successo di A Night At The Opera, un album minore, pur se molto valido, come A Day At The Races (1976 - ***1/2), passa un po’ inosservato. Con Somebody To Love, Freddie Mercury lascia alle spalle centinaia di cantanti soul, con un’interpretazione semplicemente pazzesca. Ma il disco funziona anche grazie ad altri episodi, come la durissima Tie Your Mother Down o la ballatona Long Away, entrambe scritte da Brian May. La scaletta si chiude in maniera curiosa con un brano cantato in giapponese (Teo Torriatte), gentile omaggio ad un pubblico che ha sostenuto i Queen fin dagli esordi. You Take My Breath Away resta una delle canzoni più struggenti dell’intera carriera.

News Of The World (1977 - ***) porta i Queen in cima al mondo del rock, proprio nell’anno dell’esplosione del punk. I “vecchi dinosauri” resistono con due singoli azzeccatissimi del calibro di We Will Rock You e We Are The Champions. Il resto dell’album scorre tra gli sbadigli con le sole eccezioni di Spread Your Wings (deliziosa ballata scritta da John Deacon), Sheer Heart Attack (punk rock cantato da Roger Taylor, con un titolo curiosamente identico a quello del terzo album) e la blueseggiante Get Down Make Love.

Il 1978 vede i Queen impegnati nella registrazione ed uscita del loro album più ambizioso fino a quel momento. Jazz (**1/2) è album pieno di contraddizioni e con nessuna chiave stilistica. Il disco parte con il deludente divertimento in chiave medio orientale chiamato Mustapha e si dipana attraverso un numero eccessivo di riempitivi e qualche gioiello. Fanno parte della seconda categoria sicuramente gli esercizi in bello stile pop Don’t Stop Me Now e Jealousy, sono invece poca cosa Let Me Entertain You o Dreamer’s Ball. Fat Bottomed Girls vorrebbe essere un pezzo simil heavy metal, ma il risultato sta all’obiettivo come i Pooh stanno ai Motorhead. Desta curiosità la complicata Bicicle Race, in cui i Queen giocano a citare il glam e la psichedelica di Syd Barrett rimanendo comunque sempre se stessi.

  

I tempi sono maturi per la pubblicazione del primo album dal vivo. Queen Live Killers (1979 - *****) è sicuramente il miglior live della loro carriera. La sezione ritmica macina 4/4 con potenza inesorabile, la chitarra di Brian May esplode in tutta la sua tecnica e creatività, mentre Freddie dimostra di essere semplicemente “il” cantante per eccellenza. Stratosferiche Now I’m Here, We Will Rock You e lo “spauracchio” Bohemian Rhapsody.

 

I Queen vengono coinvolti nella stesura della colonna sonora del bizzarro film di fantascienza Flash Gordon. L’album che ne esce, intitolato appunto Flash Gordon (1980 - *) è probabilmente in concorso per essere il disco più brutto di tutti i tempi. La cosa migliore è il singolo Flash (unica vera canzone in scaletta) ed è veramente tutto dire.

Gli anni ’80 vengono inaugurati dall’ennesimo “zibaldone”. The Game (1980 - ***1/2) ha però spessore ben diverso dai suoi predecessori. Con Dragon Attack e Another One Bites The Dust i Queen omaggiano in modo intelligente la moda della disco music, ma il meglio del disco arriva con la spettacolosa Play The Game, ovvero la più bella canzone dei Beatles non scritta dai Fab Four e con la potente Rock It (Prime Jive), cantata con brio da Roger Taylor. Brian May dona alla causa la corale ballatona Save Me, ma ancora una volta è Freddie MercurY quello che mostra il talento pop più evidente, facendo centro con il singolo rockabilly Crazy Little Thing Called Love. Il tour di The Game verrà in seguito ricordato dall’ottimo doppio dal vivo Rock Montreal (****).

Hot Space (1982 - **) è uno degli album più deludenti della carriera dei nostri. Gli unici episodi degni di nota sono la comunque balbettante Life Is Real (dedicata alla memoria di John Lennon), la pacchiana Las Palabras De Amor (The Words Of Love) e l’eccezionale super classico Under Pressure, in cui i Queen duettano con il “maestro” David Bowie. Forte di un motivo di basso indimenticabile, Under Pressure diverrà una delle canzoni più famose della storia del rock. Dal tour europeo di Hot Space sarà tratto l’ottimo doppio dal vivo Queen On Fire: Live At The Bowl (****1/2)

Il mezzo passo falso di Hot Space, spinge i Queen a realizzare una sorta di trilogia pop che li farà diventare campioni incontrastati di vendite in tutto il mondo. The Works (1984 - ***1/2) è il primo episodio di questa trilogia e può contare sulla fresca potenza sonica di Tear It Up e Hammer To Fall, sul fascino naif di It’s A Hard Life e sulla melodia perfetta di I Want To Breakfree. Che il disco sia di buona qualità lo dimostrano anche brani “minori” come l’acustica Is This The World We Created? o l’ostica Keep Passing The Open Windows. Francamente brutto invece il singolone Radio Ga Ga che si ritaglia un posto di diritto nel peggio degli anni ’80.

Ancora leggermente meglio è il secondo episodio della trilogia. A Kind Of Magic (1986 - ***1/2) rilancia ulteriormente il successo del gruppo grazie a singoli di incredibile successo come la title track, Who Wants To Live Forever e Friends Will Be Friends. Per una volta Freddie Mercury risulta l’autore più in ombra, ma dimostra di saper essere un sublime cantante rock quando attacca con grinta brani come One Vision (chissà se avranno mai pagato le royalties agli AC/DC?) o Princes Of The Universe.

Live Magic (1987 - *****) ci mostra i Queen al massimo del loro splendore. Piacciono soprattutto i grandi hit come Another One Bites The Dust o I Want To Breakfree, ma l’inizio super rock, con la sequenza mozzafiato One Vision / Tie Your Mother Down / Seven Seas Of Rhye è entrato di diritto negli annali del rock.

 

The Miracle (1989 - **) chiude in maniera non adeguata la trilogia pop. Si tratta di un album patinato che poco aggiunge alla storia dei Queen. Anche le canzoni più energiche (Party, I Want It All) mostrano un gruppo manierista. Si salva la title track e poco altro (sicuramente non l’imbarazzante singolo Scandal – il titolo dice quasi tutto).

 

 
Mentre rimbalzano le voci della terribile malattia che ha colpito Freddie Mercury, il gruppo sforna il suo disco in studio migliore in assoluto

Quando il cantante muore l’album è ai primi posti delle charts in tutto il mondo. In effetti Innuendo (1991 - ****) è album quasi perfetto che oscilla tra incisivi rock da stadio (Innuendo, Headlong, The Hitman, I Can’t Live With You), indovinati brani pop (These Are The Days Of Our Lives), raffinatezze strumentali (Bijou) e perfino teatro – canzone (I’m Going Slightly Mad). Il meglio però arriva con le incredibili The Show Must Go On e Don’t Try So Hard, in cui la voce di Freddie raggiunge livelli interpretativi preclusi agli umani.

La fine virtuale del gruppo (ufficializzata solo dopo qualche anno) consente di recuperare,come primo degli album dal vivo d’archivio, Live At Wembley ’86 (****), ovvero l’ultimo concerto realizzato con Freddie in vita. Scaletta perfetta (anche se troppo simile a quella di Live Magic, con però l’importante ripescaggio di Who Wants To Live Forever) e liturgia arcinota a tutti gli appassionati dei concerti della Regina. L’unica pecca sta in una registrazione veramente scadente.

A seguito del concerto benefico “Freddie Mercury Tribute”, i Queen escono con l’ep Five Live (1993 - **1/2), facendosi accompagnare da due talenti pop come George Michael e Lisa Stanfield. L’operazione commerciale è piuttosto squallida, anche se George Michael regala alla platea di Wembley una versione di Somebody To Love (che ritornerà in classifica dopo 17 anni) che non ha niente da invidiare a quella di Mercury. Lascia invece esterrefatti la scelta della cover di Papa Was A Rolling Stone dei Temptations.

Le ultime registrazioni effettuate dal cantante con il gruppo vengono riunite nell’album Made In Heaven (1995 - ***), disco che in genere si suole rappresentare peggio di quanto sia in realtà. Buone canzoni sono certamente It’s A Beautiful Day (divisa in due parti), Heaven For Everyone e soprattutto A Winter’s Tale. Con Too Much Love Will Kill You si rischia invece una bella crisi diabetica.

Nel 2004 i Queen decidono di rimettersi insieme (incassando però il rifiuto del bassista John Deacon). Tornano in pista con il grande Paul Rodgers (Free, Bad Company, The Firm) che è si una delle ugole migliori della storia del rock, ma ha poco o niente a che fare con la musica della “regina”. L’album dal vivo The Return Of The Champions (2005 - **) si segnala dunque più che altro per la mutilazione di Bohemian Rhapsody.

 

 

Per completare lo sberleffo ai fan viene perfino studiato un rientro in studio. Su The Cosmos Rocks (2008 - *1/2) si è scritto di tutto e di più. Io voglio solo aggiungere un’opinione spassionata: non è un disco dei Queen ed è pure brutto. Come al solito però le vendite danno ragione a queste speculazioni discografiche.


 
 
Il live d'archivio Live At The Rainbow ‘74 (2014 - ****) mette insieme, su doppio cd, due concerti londinesi di quell'anno. Il primo è basato sul repertorio dei primi due album; il secondo viceversa aggiunge anche le canzoni più hard di Sheer Heart Attack. La qualità audio è notevolissima ed il prodotto è assolutamente imperdibile per tutti i fans dei Queen.
Si trattava all'epoca di un gruppo in cerca di emozioni grossolane, ma ricco di energia e (ma che ve lo dico a fare?) con un cantante sempre costantemente in controllo, pure nei brani più urlati. Now I'm Here, Father And Son, In The Lap Of The Gods, Liar, White Queen sono rese ai massimi livelli
Le registrazioni presenti nel doppio On Air (2016 - ***) sono state pubblicate molte volte nel corso degli anni, in particolare per quanto riguarda le BBC sessions del biennio '73 - '74. Questo doppio cd ha qualche punto di ulteriore interesse perché viene proposta anche una molto meno battuta session del '77.
 

I momenti forti sono Modern Times Rock N'Roll (cantata da Roger Taylor), Son And Daughter, White Queen (As It Began) e It's Late.

 

 Lorenzo Allori