On Air Stiamo trasmettendo:
Supercompilation

Parola di DJ

newsletter
Vuoi essere informato su tutte le novità di Radiogas?
Iscriviti alla nostra newsletter
Scrivi la tua email



ROLLING STONES Discografia

 

La più grande rock n’roll band della storia nasce nei sobborghi di Londra all’inizio degli anni ’60. Si tratta di un sestetto formato da Charlie Watts (batteria), Mick Jagger (voce ed armonica), Brian Jones (chitarra ed armonica), Keith Richards (chitarra), Bill Wyman (basso) e Ian “Stu” Stewart (pianoforte). A parte il proletario Jones sono tutti rampolli della media borghesia e, a parte lo stesso Jones ed il batterista Charlie Watts, sono praticamente digiuni di nozioni musicali.

Il primo album, The Rolling Stones (1964 - ***), è un rigoroso omaggio al blues americano di marca Chess. Il complesso vuole però puntare decisamente verso il mondo del pop con un’immagine sporca e poco rassicurante e quindi il pianista Ian “Stu” Stewart viene estromesso dalla formazione ufficiale, pur continuando per anni a suonare con gli altri. Accanto alle canzoni di Willie Dixon e Jimmy Reed ci sono anche alcuni successi soul (Motown) e la prima canzone scritta dalla coppia Jagger / Richards (Tell Me). Ad ascoltarla a nessuno verrebbe in mente la futura grandezza di questi autori.

The Rolling Stones N.2 (1965 - ***) è una replica che segue lo stesso canovaccio dell’esordio. Gli Stones entrano per la prima volta in classifica con la cover di Time Is On My Side, ma il successo planetario è ancora lontano, anche perché la leadership di Brian Jones li pilota verso innocue cover di classici della black music come Everybody Needs Somebody To Love di Solomon Burke e I Can’t Be Satisfied di Muddy Waters.

Con Out Of Our Heads (1965 - ***1/2) ecco arrivare il botto. Proprio I Can’t Be Satisfied dà a Mick Jagger e Keith Richards l’ispirazione per scrivere l’immortale (I Can’t Get No) Satisfaction, che ancora oggi è il loro brano più famoso. Il disco presenta, accanto alle consuete cover di classici americani, anche altre belle canzoni autografe come Heart Of Stone, The Spider And The Fly e I’m Free.

 
 
 

Mentre il clamore di un singolo di grandissimo impatto come Jumpin’ Jack Flash (discendente diretto del rock n’roll di Chuck Berry) inizia a metterli in competizione con i Beatles, i Rolling Stones gettano sul tavolo il loro primo capolavoro. The Aftermath (1966 - ****) è l’annunciazione della swingin’ London e del rock psichedelico esattamente come il coevo Revolver dei Fab Four. Le sessiste e violente Stupid Girl e Under My Thumb aumentano lo scandalo intorno a questi poco raccomandabili discoli, mentre grandi suggestioni pop vengono profuse in Mother’s Little Helper, Out Of Time, Paint It Black e nella barocca ballata Lady Jane.

Jagger & Richards sono ormai (quasi) come Lennon & McCartney.

Il momento è propizio per fotografare l’energia live del gruppo. Esce così lo smilzo dischetto Got Live If You Want It! (1966 - ***) che è più che altro una scusa per inserire su un album ufficiale alcune delle canzoni sparse sui singoli (Get Off Of My Cloud, 19th Nervous Breakdown), un’entusiastica cover di Not Fade Away di Buddy Holly & The Crickets ed il buon inedito Fortune Teller.

Da questo momento inizia un momento di appannamento che vede gli Stones arrancare dietro alla magniloquenza psichedelica dei Beatles. Between The Buttons (1967 - ***) non è malvagio solo perché contiene la famosa ballata Ruby Tuesday e lo sferzante rock di Let’s Spend The Night Together. Il resto non è indimenticabile, anche se la critica è benevola.

Con tanto di copertina allucinata, Their Satanic Majesties Request (1967 - **) è il tentativo degli Stones di suonare meno blues e più lisergici. La California è però parecchio lontana. Si salva solo 2000 Man che negli anni ‘70 diventerà un successo per i Kiss. Incredibilmente (per gli standard dei Rolling Stones degli anni ’60) dall’album non viene estratto nessun singolo di successo.

Con Brian Jones sempre più emarginato e la leadership saldamente nelle mani del duo Jagger & Richards, gli Stones tornano a fare quello che gli riesce meglio, cioè il rock n’roll. Beggar’s Banquet (1968 - *****) è la prima avvisaglia di una serie sbalorditiva di dischi epocali tutti in sequenza. Qui c’è l’inno satanico Simpathy For The Devil e quello barricadero Street Fighting Man, solo per limitarsi alle canzoni più famose; ma poi ci sono anche No Expectations, Parachute Woman, Stray Cat Blues e la deliziosa Salt Of The Earth. Mick Jagger è istrionico come non riuscirà più ad essere in futuro.

Rock N’Roll Circus (1968 - ***1/2) ci mostra gli Stones dal vivo in uno studio televisivo con illustre compagnia (The Who, John Lennon & Yoko Ono, Marianne Faithfull, Jethro Tull). Non imprescindibile, ma interessante.

La giubilazione di Brian Jones, che era nell’aria da tempo, rende gli Stones ancora più forti e poco importa se l’amico viene trovato morto a casa sua in circostanze ancora oggi misteriose. Il gruppo vira decisamente su un sound americano ingaggiando momentaneamente il pianista Nicky Hopkins (già Jeff Beck Group) e la slide del divino Ry Cooder. Il posto di Brian Jones viene invece definitivamente occupato dal giovanissimo prodigio della chitarra blues Mick Taylor (già nei Bluesbreakers di John Mayall). Let It Bleed (1969 - *****) è ancora superiore al predecessore in studio con lo strisciante country blues di Honky Tonk Women, il blues elettroacustico Love In Vain (strepitosa cover del classico di Robert Johnson) e la sguaiata title track. Avete necessità di un tour de force strumentale da sfruttare in concerto? Ecco a voi Midnight Rambler. Volete la canzone pop definitiva? Ecco You Can’t Always Get What You Want. Volete sentire il caldo umido appiccicoso del Delta del Mississippi? Ecco Gimme Shelter da consegnare alla leggenda del rock. Keith Richards mostra poi notevoli doti canore nell’ottima You Got The Silver.

Il miglior disco dal vivo della storia del gruppo si intitola Get Yer Ya-Ya’s Out! (1970 - ****) ed è l’apoteosi del nuovo chitarrista Mick Taylor. Strepitose Jumpin’ Jack Flash, Stray Cat Blues, Midnight Rambler, Live With Me e Honky Tonk Women. L’America è ai loro piedi e loro la ripagano con un discusso tour che culminerà con il massacro di Altamont.

L’aura sinistra che si spande intorno alla band non è solo una trovata pubblicitaria del management. Gli Stones passano da uno scandalo all’altro e Keith Richards è da anni schiavo dell’eroina. Il tutto traspare in Sticky Fingers (1971 - *****), un album che gronda letteralmente sangue, sperma e droga. Le spettacolari Brown Sugar e Sister Morphine parlano esplicitamente della “gioia del buco”, mentre le tematiche sataniche riappaiono con forza nell’ambigua Sway. Il sessismo spavaldo tipico del gruppo torna con la fiatistica Bitch, mentre pochi notano il grido di dolore di Can’t You Hear Me Knocking o della bellissima ballata Wild Horses. Le note sudiste di Dead Flowers anticipano poi il futuro prossimo.

Durante uno strano esilio fiscale nei pressi di Nizza in compagnia, tra gli altri, di Gram Parsons, nuovo eroe del country rock, un gruppo ormai a pezzi, con polizia e giornalisti alle costole licenzia il proprio capolavoro definitivo. Si chiama Exile On Main Street (1972 - *****) ed è un doppio album corale e compatto, fatto di country e blues e privo di singoli di grande successo. Si ricordano Rocks Off, Rip This Joint, Sweet Virginia, The Loving Cup e Shine A Light; mentre Happy e Tumbling Dice rimarranno a lungo nel repertorio dei concerti. Se amate il rock, non potete non conoscerlo a menadito.

L’ascesa artistica degli Stones si arresta con Goat’s Head Soup (1974 - ***) al quale non bastano i consueti ammiccamenti luciferini ed una delle ballate più belle dell’intero repertorio (Angie) per raggiungere il livello dei predecessori.

Mick Taylor saluta la compagnia con un disco contraddittorio come It’s Only Rock N’Roll (1975 - ***1/2) nel quale trovano posto la splendida title track (un vero e proprio manifesto programmatico) e l’assolo infinito di Time Waits No One, ma anche troppi riempitivi.

L’arrivo del nuovo chitarrista (Ron Wood, ex Jeff Beck Group e Faces), sottolinea ancora di più il lato ludico di Jagger e Richards, i quali rimangono folgorati dalla musica di Bob Marley e tingono di reggae le proprie composizioni con il controverso Black & Blue (1976 - ***). Il gruppo guadagna molti nuovi fan grazie ai singoli Hey Negrita!, Fool To Cry e Hot Stuff, ma la critica storce il naso.

Love You Live (1977 - ***) è forse il disco dal vivo più famoso della band. Registrato durante le date parigine del Black & Blue Tour, vede gli Stones scivolare sui brani più energici ed invece rendersi giustizia con le ballate.

Questa volta è la moda della disco music e del funk revival ad ispirare il successivo Some Girls (1978 - ***1/2), senza dubbio uno dei migliori episodi degli Stones post Exile. Il singolo Miss You, caratterizzato da un ritmo pigramente ballabile, diventa la loro canzone più nota dopo Satisfaction e Jumpin’ Jack Flash. Il meglio del disco però risiede in Beast Of Burden, Some Girls e nella convincente cover di Just My Imagination dei Temptations.

 
Nel 2011 il tour di Some Girls viene giustamente celebrato con lo spettacolare album dal vivo.

Some Girls Live In Texas (1978 - ****). Ronnie Wood e Keith Richards rockano che è un piacere nelle nuove canzoni, ma anche in brani storici come Honky Tonk Women, Tumbling Dice, Happy, Brown Sugar e Jumpin’ Jack Flash.

Emotional Rescue (1980 - **) è un disco evidentemente fatto di scarti delle precedenti sessions, ancora più sbilanciato verso la black music. Non si salva quasi niente. Forse solo la title track e She’s So Cold.

Mai dare per morti i vecchi leoni. Con Tatoo You (1981 - ***1/2) i Rolling Stones tornano al primo posto in classifica. Il tutto avviene grazie all’immortale riff di Start Me Up (che conferma Keith come il chitarrista ritmico di maggior talento della storia del rock) ed alla ballata Waiting For A Friend. Per la prima volta ai loro concerti vanno intere famiglie e loro diventano delle star intergenerazionali.

La band entra in un periodo in cui gli album dal vivo sono più di quelli in studio, segno inequivocabile che ormai si ha più voglia di celebrare che di innovare. Il tutto si apre con il deludente Still Life / American Concert (1981 - **) in cui gli Stones vorrebbero accreditarsi come parte della grande storia della musica nera americana. Sconsolati si assiste ad una partenza che cita Ellington e ad una conclusione che omaggia Hendrix. Il successivo Undercover (1983 - *) è il punto più basso della produzione in studio. Da ricordare solo il brano Undercover The Night.

Il gruppo viene rinforzato dal tastierista americano Chuck Leavell (ex Allman Brothers Band) e realizza un album nuovamente ballabile che deve molto (sic) al tipico sound sintetico degli anni ’80. Dirty Work (1986 - **) ha come unico brano significativo Harlem Shuffle, che vorrebbe rinnovare, senza riuscirci, il successo sempre verde di Miss You.

La crisi del decennio continua con lo scialbo Steel Wheels (1989 - **1/2), che comunque vende benissimo e sfiora il primo posto in classifica da entrambe le parti dell’Oceano. Piace il singolo Rock And Hard Place e la spiritosa ballata Slipping Away, cantata da Keith Richards.

Il bassista Bill Wyman lascia la band per fondare i Rhythm Kings e non viene rimpiazzato (con Ron Wood che si occupa in studio delle parti di basso). Il gruppo si imbarca in un nuovo estenuante tour mondiale dal quale viene estratto l’album dal vivo Flashpoint (1991 - **), che certo non cambia la storia del rock.

Si sa che Jagger & Richards non sono abituati a darsi per vinti ed ecco che, in piena era grunge, esce il discreto Voodoo Lounge (1994 - ***), cioè il ritorno ad un convincente rock n’roll. I pezzi forti sono Love Is Strong e You Got Me Rocking, mentre le labbra rubiconde e le gambe scimmiesche di Mick Jagger vanno in heavy rotation su MTV muovendosi gigantesche in mezzo allo skyline di Miami.

Il live acustico Stripped (1995 - ****), uscito nel mezzo della mania dell’unplugged, è uno dei dischi più belli del gruppo fin dall’epoca d’oro. Il repertorio in effetti pesca a piene mani dal periodo 1968 – 1972 ed i fans non possono che ringraziare. L’album viene registrato in piccoli locali tra Parigi, Lisbona e Londra ed annovera anche due splendide riletture in studio dei classici Wild Horses e Love In Vain. Il cerchio si chiude con l’omaggio di Little Baby al blues di Chicago (la canzone è di sua maestà Willie Dixon). Inaspettatamente si torna al #1 in classifica con una corretta cover di Like A Rolling Stone di Bob Dylan. Che Bob l’abbia scritta per loro?

I problemi di scarsa qualità tornano puntuali con la produzione in studio. Bridges To Babylon (1997 - **1/2) è il solito disco di mestiere che non accende gli animi, anche se la ballata di grande successo Anybody Seen My Baby? sa essere romantica senza essere eccessivamente ruffiana.

Con l’aiuto di Dave Matthews (Memory Motel) e Taj Mahal (Corinna, Corinna) la band licenzia l’ennesimo album dal vivo piuttosto inutile. Si intitola No Security (1997 - **1/2) e fin dal titolo e dalla copertina ironizza con cattivo gusto sul concerto di Altamont. A parte Gimme Shelter e Sister Morphine, l’occasione è propizia per suonare alcune canzoni “minori” del repertorio. Ecco che, in modo piccato, viene ripescata The Last Time, al centro di una lunga querelle con i Verve, che ne avevano utilizzato un sample (peraltro tratto dalla versione orchestrale della Royal Symphony Orchestra) per il loro successo Bitter Sweet Symphony. Come i pescecani Jagger & Richards stabiliscono sempre e comunque la legge del più forte. Giustizia viene fatta e niente lesa maestà.

Dopo un monumentale greatest hits di quaranta brani arriva anche Live Licks (2004 - ***): il greatest hits dal vivo. I veri fan si aspettano però chicche in stile Stripped e non ne possono più dell’autocompiacimento di questi anziani uomini d’affari.

 

A Bigger Bang

(2005 - ***) viene annunciato come l’ultimo album in studio della loro carriera ed ascoltandolo si sarebbe quasi tentati di dispiacersi. Streets Of Love viene trasmessa per mesi dalle radio di tutto il mondo, ma anche This Place Is Empty e Oh No, Not You Again sono più che dignitose.

 
 

Un concerto in un piccolo teatro di New York City (il mitico Beacon tanto caro agli Allmans), filmato da Martin Scorsese è la scusa per l’ennesimo disco dal vivo. Si intitola Shine A Light (2008 - ***) ed aggiunge poco o niente alla storia, mostrando gli Stones in compagnia del padre spirituale Buddy Guy (bella la cover di Champagne & Reefer di Muddy Waters) e del nipotino Jack White (The Loving Cup). Peccato per la presenza stonata di Cristina Aguilera in Live With Me, ma a loro le pollastrelle sono sempre piaciute. Se il meglio lo danno ancora una volta a cantare Brown Sugar significa che siamo davvero alla fine.

 
Sweet Summer Sun: Hyde Park Live (2013 - ***) è la cronaca della due giorni di grandi concerti tenuti a Londra nell'estate del 2013. Nel 1969 gli Stones si trovarono ad Hyde Park con i Blind Faith e con migliaia di giovani per celebrare la vita e la morte di Brian Jones. Dopo moltissimi anni tornano sul luogo del delitto per realizzare la loro consueta carrelata di successi dal vivo.

E' da un bel po' che la band, nonostante la super professionalità, è sostanzialmente bollita. Certo che ascoltare Street Fighting Man o You Can't Always Get What You Want lascia ancora senza fiato esattamente come ai bei tempi.

 

Per festeggiare il ventennale di Stripped, esce un sontuoso cofanetto con quattro dvd ed un cd. Il cd, intitolato Totally Stripped (2016 - ****), testimonia il concerto tenuto dalla band nel piccolo club Paradiso di Amsterdam nel maggio 1995. Il concerto è sontuoso ed ha una scaletta in larga parte diversa dal disco originale, con versioni da urlo di I Go Wild, Miss You, Midnight Rambler, Jumpin' Jack Flash e con una Like A Rolling Stone ancora più potente.  

Non si tratta di un album prettamente acustico, come era stato Stripped. Gli Stones ci danno infatti dentro con le elettriche e rafforzano il tutto con incisivi interventi dei fiati e delle magiche tastiere di Chuck Leavell.

Havana Moon (2016 - ***) è importante soprattutto per la portata storica dell'evento: un grande concerto degli Stones a Cuba proprio mentre si stavano ristabilendo le relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e l'isola caraibica. Dal punto di vista musicale è il consueto "greatest hits live" dei Rolling Stones moderni, con una cornice di pubblico sbalorditiva: ecco perché è molto più godibile il filmato in dvd rispetto ai cd.

 
Attesissimo esce all'inizio di dicembre 2016 Blue & Lonesome (***1/2). Dopo tanti anni i Rolling Stones tornano al puro Chicago Blues elettrico, non rinunciando a qualche potente unghiata pub rock. Le canzoni sono classici del blues nemmeno particolarmente famosi (ad essere saccheggiato maggiormente è il repertorio di Little Walter).

Una menzione particolare merita la granitica batteria di Charlie Watts ed uno sciamanico Mick Jagger, veramente fenomenale nel cantare da par suo e nel suonare l'armonica divinamente. Eric Clapton partecipa, senza lasciare particolari tracce, ad un paio di brani: Everybody Knows About My Good Thing e I Can't Quit You, Baby, mentre è centralissimo il ruolo delle tastiere di Chuck Leavell.

 
  Lorenzo Allori