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THE SMITHS Discografia

Steven Patrick Morrissey è un giovane cantante di Manchester appassionato del glam rock anni ’70 (soprattutto New York Dolls, Roxy Music e T-Rex), Johnny Marr è invece un chitarrista che ha eletto a proprio idolo Roger McGuinn (leader maximo dei Byrds) ed il suo stile scampanellante. Mike Joyce (batteria) e Andy Rourke (basso) sono in la sezione ritmica più silenziosa della storia. I quattro nel 1982 fondano The Smiths che, malgrado il nome supremamente anonimo, sono destinati a divenire la pietra angolare del pop britannico.

Il primo album, The Smiths (1984 - ****), entra da subito nella leggenda per la copertina che ammicca all’immaginario gay. Si tratta però di una pur significativa istantanea che da sola non spiega la qualità della musica contenuta. Innanzi tutto ci sono i due bellissimi singoli Hand In Glove e What Difference Does It Make? ma poi il gruppo dimostra grande sicurezza e maturità proponendo anche “brani minori” di qualità come le potenti Still Ill e Reel Around The Fountain. Miserable Lie è poi il primo esempio dello strano moralismo di Morrissey.

In una discografia tormentata e frastagliata, la raccolta Hatful Of Hollow (1984 - ***1/2) assume la dignità di album perché è qui che si trovano alcuni dei singoli più convincenti dell’intero repertorio degli Smiths. Ecco allora William, It Was Really Nothing, This Charming Man (loro primo singolo in assoluto), Handsome Devil, Heaven Knows I’m Miserable Now e la struggente ballata country Please, Please, Please Let Me Get What I Want, che addirittura era un b-side della già citata William, It Was Really Nothing. Gli Smiths sono da tempo dei beniamini del mitico dj della BBC John Peel, che li sostiene senza riserve nella parte iniziale della loro carriera.

Per molti Meat Is Murder (1985 - ***) è il loro disco peggiore. Sicuramente si tratta di un lavoro difficile ed involuto, lontano dal pop scintillante e quasi ballabile degli esordi, ma strappa in pieno la sufficienza grazie ad una copertina strepitosa (la più bella di una carriera iconograficamente sempre al top) e ad alcune canzoni che entrano di diritto nella storia del pop. 
 

I crescendi musicali talvolta maestosi (la vegana Meat Is Murder), talvolta inquietanti (la spietata How Soon Is Now?), talvolta tristissimi (la bellissima That Joke Isn’t Funny Anymore) sono ormai un marchio di fabbrica del lavoro di Johnny Marr, il quale però dimostra ancora una volta un’invidiabile capacità di sintesi in altre ottime canzoni come The Headmaster Ritual, Rusholme Ruffians, Nowhere Fast e Barbarism Begins At Home.

Gli Smiths sono ormai al livello dei migliori Beatles per la capacità di scrivere melodie indimenticabili. The Queen Is Dead (1986 - *****) ne è la dimostrazione e rimane uno degli album forse più sottovalutati della storia del rock. Senza questo capolavoro non ci sarebbe stato il brit pop degli anni ’90 e sarebbe stato un vero peccato. Si tratta del disco forse più dark della carriera degli Smiths, ma siamo lontani anni luce dal gothic rock. L’oscurità deriva invece da un’esteticità decadente e femminea, che mette a disagio chi vorrebbe anche solo avvicinarsi e provare empatia. Il disperato inno del malessere intitolato There Is A Light That Never Goes Out basterebbe da solo a giustificare il massimo dei voti, ma qui ci sono anche The Queen Is Dead, I Know It’s Over, Cemetry Gates, The Boy With The Thorn In His Side e Vicar In A Tutu. Gli Smiths sono una machina da guerra che manda tutti in pista a ballare sulle note dell’incredibile Bigmouth Strikes Again (fatela ascoltare a chi dice che la musica rock degli anni ’80 fa schifo) e che si permette di lasciare fuori dalla scaletta dell’album i due singoli che vendono di più in patria (Panic e Ask).

I sempre più evidenti contrasti tra i due leader portano alla separazione del gruppo (che siamo certi non ritornerà mai insieme).
 Gli Smiths comunque fanno in tempo a licenziare un dignitoso album di addio intitolato Strangeways, Here We Come (1987 - ***), nel quale si divertono a piazzare una delle loro canzoni più belle (Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me) ed altri episodi crepuscolari come I Started Something I Couldn’t Finish e Paint A Vulgar Picture.

Il singolo Girlfriend In A Coma ha ispirato il titolo del romanzo d’esordio dello scrittore americano Douglas Coupland, un culto per chi è stato adolescente all’inizio degli anni ‘90.

Morrissey inizierà una fortunata carriera solista, Johnny Marr sarà coinvolto da una serie di progetti in ambito rock indipendente e sarà sempre uno dei chitarristi più citati dalle giovani stelle dell’indie rock di entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico. Rourke e Joyce lasceranno progressivamente il mondo della musica e nessuno ne sentirà la mancanza.

Per chiudere definitivamente la storia degli Smiths viene assemblato un raffazzonato album dal vivo intitolato Rank (1988 - ***). La band ha sempre avuto negli spettacoli dal vivo il proprio habitat ideale, ma questo album è registrato male e non rende giustizia al travolgente rock contenuto nella loro musica. Dal vivo gli Smiths sono rafforzati dalla chitarra ritmica di Craig Gannon e per questo sono più convincenti nei pezzi tirati, che qui assumono sfumature quasi hard rock. Molto bella infatti la rilettura di Still Ill.

  
 Lorenzo Allori