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MEIN FHURER

(Mein Führer - Die wirklich wahrste Wahrheit uber Adolf Hitler)

di Dani Levy (Germania 2007)
con Helge Schneider, Ulrich Mühe, Sylvester Groth, Adriana Altaras, Stefan Kurt, Ulrich Noethen




Quando ci si appresta a vedere un film su Adolf Hitler si hanno nella mente, volenti o nolenti, due capolavori che pesano come macigni: "Il grande dittatore" di Charlie Chaplin e "Moloch" di Alexander Sokurov" e si ha la speranza che il miracolo si ripeta, che ancora una volta un grande regista riesca a narrare l'inenarrabile. Nel caso di "Mein Führer " il miracolo non è avvenuto.

 Il regista Dani Levy ha rappresentato Hitler e la Germania alla fine della Seconda Guerra Mondiale scegliendo di fondere la verità con l'invenzione, mescolando fatti storicamente comprovati con tocchi paradossali e tanto improbabili da far diventare Albert Speer uno sprovveduto, Goebbels un cospiratore e Hitler un buffone.
La storia, a dire il vero un po' forzata, vede Adolf Hitler nel 1945, moralmente abbattuto e privo del furore con il quale ha stregato il popolo tedesco, che riceve i consigli e gli insegnamenti di un attore ebreo appositamente liberato da un campo di sterminio dal ministro per la Propaganda Joseph Goebbels.
 

Il precettore ebreo è interpretato dall'attore tedesco Ulrich Mühe ("Funny Games" e "Le vite degli altri") recentemente scomparso che, come sempre nei pochi ruoli da lui interpretati, è riuscito ad aggiungere un tocco di eleganza e di passione ai personaggi che gli sono stati assegnati.

Gli altri attori, in parte sconosciuti, recitano con mestiere pur senza entusiasmare, adeguandosi ad un film che non riesce a coinvolgere e lascia indifferenti anche a causa della palese difficoltà incontrata dal regista a rapportarsi ad uno dei momenti storici più complessi e dolorosi che il mondo occidentale abbia attraversato e che non ha ancora metabolizzato.

"Mein Furher", non è tuttavia un lavoro mediocre; ha dei punti di forza oltre che nella recitazione dei protagonisti, nella fotografia di Charly F. Koschnick e nei dialoghi ben strutturati dello stesso regista, ma non si comprende a cosa possa servire proporre un figura del dittatore che si pone a metà tra l'idiozia e la malinconia e che stravolge la realtà dei fatti senza per questo elaborare una visione alternativa.

Quello non è Hitler ma non è neanche un suo lontano parente, Levy ha semplicemente inventato un altro personaggio e, cercando di essere originale, è stato superfluo.

L'inviato Morellik