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WELCOME TO THE MACHINE - Il Musical - Teatro del Giglio Lucca

Lo scenario si apre e su sfondo bianco Jack (Emiliano Geppetti) è seduto e sta guardando la televisione. Il passaggio di una canzone lo porta a ricordare l'amico Syd (Francesco Dini). Così inizia Welcome To The Machine, il musical che viene presentato in prima nazionale al teatro del Giglio di Lucca. In realtà non è una vera e propria novità ma una versione riveduta, corretta e migliorata, a detta di chi ha avuto il piacere di vedere anche la precedente edizione, dello spettacolo del giovane regista Emiliano Galigani. Regista bravo e talentuoso che sopperisce alla mancanza di budget milionari con la capacità di essere creativo con pochi ma efficaci effetti scenici. La storia è ovviamente ispirata a Syd Barret e altrettanto ovviamente a The Wall, opera sonora-visiva di fondamentale importanza della storia del Rock. E per questo molto difficile da affrontare senza cadute. Galigani ci riesce offrendo spesso notevoli punti di interesse grazie anche all'uso di un'ottima "fotografia" giocata molto sull'effetto dei personaggi in ombra. Bella la scelta di tenere il gruppo in ombra per la prima mezz'ora dello spettacolo, belle le scene in cui i personaggi sono messi in ombra su sfondo blu ma ancor più bella quando Syd si ritrova a cantare su sfondo rosso e nettamente di impatto una delle scene finali illuminate dalle "Flash Light" che shockano in maniera adeguata a ciò che sta succedendo. 

 Belli i costumi molto fine anni '60, tra colli alti, capelli lunghi, camice pre-flower-power, giacche di pelle luccichente perfettamente adatta alla figura di Frank il produttore (Nicola Palladini) e una madre, figura importante nel mondo, importantissima in questo spettacolo, ingigantita nelle proporzioni e vestita come se fosse una Madonna (non la cantante) proletaria. 

Conclusa la parte "visiva" è d'obbligo analizzare anche quella sonora. Non è facile cancellare la memoria storica delle voci che si hanno in mente per delle canzoni che da una trentina d'anni mi passano nella testa. Nessuno può avere il timbro di voce di Roger Waters, questo è un dato di fatto e imitarlo sarebbe solo un voler cadere in disgrazia. Bravo quindi Francesco Dini a sentirsi libero di interpretare alla sua maniera le canzoni dei Pink Floyd. Anche perchè ha una bella voce. Come una bella voce hanno tutti. E infatti ognuno si accolla la sua parte e la canta e siccome tutte le musiche sono dal vivo e la banda che sta sotto a quello che sembra un "ridotto" del classico palco dei Pink Floyd suona in presa diretta sembra un pò di assistere ad un concerto della band inglese con voci nuove anche perchè gli arrangiamenti musicali sono praticamente uguali agli originali tranne in alcuni accordi che ovviamente sono costretti ad adeguarsi alle voci che stanno cantando. Il repertorio attinge nella sua quasi totalità al periodo "Watersiano" dei Pink Floyd, quello che va dalla dipartita di Syd Barrett alla dipartita dello stesso Waters, di cui a mio avviso il regista è un fan sfegatato. A dimostrazione di questa mia, ardita, tesi si noti lo spazio dedicato alla più watersiana delle opere floydiane, quel "The Final Cut" abbondantemente sottovalutato dalla critica ma ampiamente ricompensato dall'affetto dei fans a cui il sottoscritto si iscrive. Altro dato di fatto da prendere in considerazione è che quasi tutte le canzoni tratte da questo album sono state cantate dalla bravissima Daniela Bulleri che recita la parte di Marylease, la ragazza di Syd cantando come una J. Joplin più aggraziata e, spero per lei, meno southernconfortizzata dimostrando capacità canore una spanna sopra gli altri e di tante altre che con la sua voce ci campano. Brave anche le coriste, tutte, che hanno il merito di essere molto simili alle originali. Ottimi tutti i musicisti che non sbagliano niente e suonare i Pink Floyd non è proprio la cosa più facile da fare.

Insomma, bravi tutti. Nelle due ore dello spettacolo non c'è stato niente che mi abbia fatto storcere il naso e lo spettacolo si chiude con gli applausi ritmati di tutto il teatro.

Sorpresa. Per dare ancor più la sensazione di essere ad un concerto c'è il tempo di mettere ancora un altro mattone nel muro di luci e suoni di questo spettacolo e infatti il cast ricompare, tra la stupore del pubblico, per il classico, nei concerti non a teatro, bis.

Concordo in pieno con il floydologo che mi ha consigliato di andarlo a vedere e poi fatto compagnia durante lo spettacolo che "The Great Gig In The Sky" fatta nella primissima parte dello spettacolo poco c'entrasse con lo stesso ma fosse soprattutto un doveroso e giustissimo omaggio alla memoria di Richard Wright.

Andrea Olmi
Con la preziosa collaborazione di G. Prestianni

Per la trama dell'opera e altre informazioni vi invito a visitare il sito ufficiale