Conclusa la parte "visiva" è d'obbligo analizzare anche quella sonora. Non è facile cancellare la memoria storica delle voci che si hanno in mente per delle canzoni che da una trentina d'anni mi passano nella testa. Nessuno può avere il timbro di voce di Roger Waters, questo è un dato di fatto e imitarlo sarebbe solo un voler cadere in disgrazia. Bravo quindi Francesco Dini a sentirsi libero di interpretare alla sua maniera le canzoni dei Pink Floyd. Anche perchè ha una bella voce. Come una bella voce hanno tutti. E infatti ognuno si accolla la sua parte e la canta e siccome tutte le musiche sono dal vivo e la banda che sta sotto a quello che sembra un "ridotto" del classico palco dei Pink Floyd suona in presa diretta sembra un pò di assistere ad un concerto della band inglese con voci nuove anche perchè gli arrangiamenti musicali sono praticamente uguali agli originali tranne in alcuni accordi che ovviamente sono costretti ad adeguarsi alle voci che stanno cantando. Il repertorio attinge nella sua quasi totalità al periodo "Watersiano" dei Pink Floyd, quello che va dalla dipartita di Syd Barrett alla dipartita dello stesso Waters, di cui a mio avviso il regista è un fan sfegatato. A dimostrazione di questa mia, ardita, tesi si noti lo spazio dedicato alla più watersiana delle opere floydiane, quel "The Final Cut" abbondantemente sottovalutato dalla critica ma ampiamente ricompensato dall'affetto dei fans a cui il sottoscritto si iscrive. Altro dato di fatto da prendere in considerazione è che quasi tutte le canzoni tratte da questo album sono state cantate dalla bravissima Daniela Bulleri che recita la parte di Marylease, la ragazza di Syd cantando come una J. Joplin più aggraziata e, spero per lei, meno southernconfortizzata dimostrando capacità canore una spanna sopra gli altri e di tante altre che con la sua voce ci campano. Brave anche le coriste, tutte, che hanno il merito di essere molto simili alle originali. Ottimi tutti i musicisti che non sbagliano niente e suonare i Pink Floyd non è proprio la cosa più facile da fare. Insomma, bravi tutti. Nelle due ore dello spettacolo non c'è stato niente che mi abbia fatto storcere il naso e lo spettacolo si chiude con gli applausi ritmati di tutto il teatro. Sorpresa. Per dare ancor più la sensazione di essere ad un concerto c'è il tempo di mettere ancora un altro mattone nel muro di luci e suoni di questo spettacolo e infatti il cast ricompare, tra la stupore del pubblico, per il classico, nei concerti non a teatro, bis. Concordo in pieno con il floydologo che mi ha consigliato di andarlo a vedere e poi fatto compagnia durante lo spettacolo che "The Great Gig In The Sky" fatta nella primissima parte dello spettacolo poco c'entrasse con lo stesso ma fosse soprattutto un doveroso e giustissimo omaggio alla memoria di Richard Wright. Andrea Olmi Con la preziosa collaborazione di G. Prestianni Per la trama dell'opera e altre informazioni vi invito a visitare il sito ufficiale |