Esce un nuovo tassello della collana “Atlanti Musicali” della Giunti. Una serie meritoria coordinata da Riccardo Bertoncelli e che vede il secondo volume dedicato al pop rock britannico. Ancora una volta vengono confermati i pregi ed i difetti di questi agili volumi: un’ottima fonte di divulgazione sul tema, che si legge velocemente in poche pagine; ma anche una serie di dubbi sulle scelte dell’autore (in questo caso il preparato e competente Aurelio Pasini). La prima critica che si può fare a questo libro, ma che lo accomuna a tutti gli altri della medesima serie, è la poca attendibilità delle votazioni. Si tratta infatti di manuali ad uso e consumo del fan di quel genere musicale, dunque spesso una votazione eccellente (leggi “cinque stelle”) non deve essere considerata in senso assoluto, ma circoscritta all’interno di quel genere musicale. Se infatti pensate che Definitely Maybe degli Oasis meriti il massimo dei voti, che cosa potrete mai assegnare a Revolver dei Beatles? La seconda critica è invece specifica per questo volume e riguarda la selezione degli artisti trattati. Il brit rock è un falso genere che potremmo definire in “power pop con melodie tipicamente britanniche”. E allora che cosa c’entrano Arab Strap, British Sea Power, David Gray, PJ Harvey, The Kills, Mogwai, Mojave 3 o Tindersticks? Cosa hanno in comune, eccetto la provenienza geografica, esperienze musicali tanto divergenti l’una dall’altra? E viceversa che fine hanno fatto i grandissimi Cooper Temple Clause e tanti altri gruppi indie dell’ultimo decennio? Per il resto la lettura è piacevolissima e serve anche per farci tornare in mente gruppi (Elastica, Gene, Cast) che negli anni ’90 erano considerati grandissimi e dei quali ormai si sono perse le tracce.
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