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IL GOLPE DI VIA FANI - Giuseppe De Lutiis

IL GOLPE DI VIA FANI
(G. De Lutiis, Sperling & Kupfer, 2007)


E' stato detto molte volte che l'omicidio Moro, fatte salve non piccole differenze di contesto, è il nostro caso Kennedy. Il paragone è indubbiamente affascinante. Vale senz'altro per lo shock che le due tragedie hanno provocato nelle rispettive vite nazionali. Probabilmente, anche, per le svolte del dopo nelle politiche dei due stati. C'è chi dice, tuttavia, che l'analogia valga soprattutto per la natura dei due delitti, omicidi di stato con molte ombre, dove l'immagine dei killer riconosciuti illanguidisce a fronte dei dubbi sulle motivazioni, degli interrogativi sui mandanti e sulle connivenze degli esecutori, della moltitudine di indizi che rimandano a un quadro di inquietante indicibilità ben lontana dalle ‘rassicuranti' versioni ufficiali dei fatti.

 Per rimanere a Moro, anche chi sostiene (giustamente) la spontaneità della genesi e della storia delle Brigate Rosse, fenomeno terroristico dalle radici sociali e dalle connotazioni tutte italiane, concede che quei quaranta giorni dell'ormai lontano 1978 presentano vari aspetti non chiariti. Ma è davvero giusto considerare il sequestro, la prigionia e l'assassinio dello statista democristiano come un episodio a se stante nella storia delle Brigate Rosse?Ed è giusto che si analizzi il terrorismo più destabilizzante nella storia di uno stato industriale moderno come del tutto svincolato da possibili e presumibili influenze internazionali? A queste ed altre domande cerca di rispondere il libro di Giuseppe De Lutiis.

E lo fa, come vedremo, in maniera non del tutto scontata. De Lutiis, del resto, in materia è una vera e propria autorità. Presidente del Cedost (Centro di documentazione storico-politica su stragismo, terrorismo e violenza politica) di Bologna, coordinatore dei consulenti della Commissione parlamentare su stragi e terrorismo, autore di una Storia dei servizi segreti in Italia che rimane, a tutt'oggi, il contributo migliore sull'argomento, è uno studioso stimato dall'intero arco parlamentare. Come dicevamo, la sua analisi e la paziente e minuziosa opera di ricostruzione di un puzzle così naturalmente complesso giunge a risultati inquietanti e non scontati. Questi, a nostro giudizio, i suoi aspetti più interessanti per il lettore profano:

1) Jalta e guerra fredda: l'eventualità di un ingresso del PCI nel governo italiano, nel 1978, non era accettabile per l'equilibrio internazionale della guerra fredda. Certamente non per gli USA, minacciati nella loro area di influenza. Ma nemmeno, e questo a prima vista è più sorprendente, poteva accettarlo l'Unione Sovietica, timorosa di analoghe richieste di autonomia da parte dei paesi satelliti dell'Europa orientale e da tempo in disaccordo con la politica del Partito Comunista Italiano. In quest'ottica De Lutiis ipotizza la presenza di organizzazioni (vere e proprie centrali del terrore) dove "all'insaputa dei militanti di base, emissari di strutture occulte di opposto orientamento politico possano aver promosso operazioni di guerra non ortodossa che appagavano gli interessi di entrambi". Solo ipotesi? Non esattamente. Un esempio del genere si trova a Parigi, dove il centro Hyperion, ufficialmente una scuola di lingue, fondata da alcuni brigatisti della prima ora trasferitisi in Francia all'inizio degli anni Settanta, gestiva il traffico di armi a favore dei terroristi italiani. Ma per conto di chi? E con quali finanziamenti? Ecco la sorpresa: le armi arrivavano dall'OLP, col benestare del servizio segreto sovietico, il KGB. Eppure... La questura di Roma definì l'Hyperion "uno dei più importanti uffici di rappresentanza della CIA in Europa". E il giudice Rosario Priore, che più di tutti in Italia si è occupato processualmente della scuola di lingue francese, sottolinea l'influenza su di essa dei servizi segreti francesi. Prove provate? Nessuna. Indizi? Tanti. E questo è solo un esempio.

2) Attori in campo: non ci sono solo USA e URSS, CIA e KGB. De Lutiis è attento a valutare, in questo contesto, l'operato di altre organizzazioni come il Mossad, il servizio segreto israeliano. L'Italia, paese di frontiera tra Est e Ovest, lo era anche nello scacchiere mediterraneo, e aveva rapporti privilegiati con paesi arabi come la Libia. Legittimo, dunque, un certo interesse del Mossad? Sicuramente. Tanto da gestire, secondo documenti italiani e francesi, il controllo dei movimenti estremisti di sinistra della Quarta Internazionale Trotzkista? E da contattare i brigatisti, in almeno tre occasioni accertate, per offrire supporto? Chissà. E comunque non ci sono prove. Indizi, comunque, tanti. E, anche stavolta, questo è solo un esempio.

3) Servizi Segreti e infiltrazioni: De Lutiis sul punto è chiaro. E' assolutamente legittimo, e doveroso, per un servizio segreto infiltrare una formazione terroristica, e dunque penetrarla con i suoi uomini per meglio conoscerne obiettivi e strategie e, dunque, combatterla con più efficacia. Ma è andata sempre così? In realtà quello che emerge dall'analisi è che infiltrati dei servizi hanno partecipato attivamente ad alcune delle azioni più importanti delle Brigate Rosse. Come Francesco Marra, brigatista tra i diciannove che parteciparono nel 1974 al sequestro del giudice Sossi. La partecipazione di Marra al sequestro fu coperta sia dalle Brigate Rosse che dalle forze investigative ed è stata rivelata solo recentemente. Perché? Forse perché era un infiltrato dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno. E' ipotizzabile uno scenario simile nel sequestro Moro? Vi lasciamo alle considerazioni di De Lutiis.

Lo scorso 30 agosto "Repubblica" ha pubblicato un'intervista concessa dall'ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt a "Die Zeit" sui terribili anni Settanta del terrorismo in Germania. Alla conclusione dell'intervista Schmidt lascia senza parole il suo interlocutore: secondo lui "tutti i terrorismi, non importa se la RAF tedesca, le Brigate Rosse italiane [...] vengono surclassati da determinate forme di terrorismo di stato". E dopo l'incredula replica chiude dicendo: lasciamo perdere, ma credo davvero a quello che dico. Ed è chiaro che venendo, per così dire, da una persona informata sui fatti, si tratta indubbiamente di un'affermazione clamorosa. Che fa riflettere.

In questo senso, allora, si può senz'altro consigliare il libro di De Lutiis. Per leggere e riflettere, fuori da ogni forzatura e manipolazione.

Luca Perlini