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IO POETA NOTTURNO - Dino Campana

Il poeta toscano lottò fino alla fine
per pubblicare i suoi Canti Orfici


IL DIRITTO DI ESISTERE

Lettere di Dino Campana agli intellettuali toscani

di David Fiesoli

Merito di essere stampato, sento che quel poco di poesia che so fare ha una purità di accento che oggi è poco comune: così scriveva Dino Campana a Prezzolini. La vita di un artista senza santi in paradiso, in Italia particolarmente, è ed è sempre stata molto difficile: alcune delle lettere che Dino Campana scriveva inutilmente ai poeti e agli intellettuali soprattutto fiorentini e toscani (Soffici, Papini, Serra, Novaro, Emilio Cecchi, Luigi Bandini, Giovanni Boine) sono ora raccolte in un libricino edito da Via del Vento, a dimostrazione che quando si canta fuori dal coro non c'è riconoscimento che tenga.

  La vita di Dino Campana è stata funestata dalla follia: ma se Papini e Soffici non avessero incredibilmente perduto il manoscritto originale dei Canti Orfici, forse il già precario equilibrio del poesia di Marradi non sarebbe stato ulteriormente sconvolto, spianandogli la strada verso l'emarginazione. Perchè Dino Campana scrisse un solo libro nella sua vita, quei Canti Orfici che lo hanno reso grande solo dopo morto nonostante fossero stati stampati a proprie spese in una dimessa edizione da un oscuro tipografo di Marradi nel luglio del 1914, edizione che ora vale una piccola fortuna sul mercato antiquario.

In una lettera indirizzata a Emilio Cecchi, Campana definisce i Canti Orfici "la giustificazione della mia vita": e pensare che l'editore fiorentino Vallecchi, al tempo uno dei più grandi, rifiutò quel libro che poi, una volta scomparso Campana, divenne uno dei titoli di punta del suo catalogo.

La genesi di quei Canti fu travagliatissima: il manoscritto originale e unico, che aveva il titolo "Il più lungo giorno", fu affidato da Campana nelle mani di Soffici e Papini perchè fosse pubblicato e invece andò perduto. Campana, disperato, lo riscrisse da capo e non solo lo pubblicò a sue spese ma cercò di venderlo personalmente a Firenze.

L'epistolario di Campana rende conto, come scrive Pasquale di Palmo nella postfazione, delle profonde motivazioni umane che spinsero il poeta di Marradi "disperato e sperso per il mondo" a cercare di condividere un'esperienza che rimane tra le più emblematiche, nella sua marginalità, del Novecento letterario. Ed è una richiesta d'aiuto che cade nel vuoto, perchè "l'uomo dei boschi", Campana il matto, era a malapena tollerato per il suo comportamento eccentrico e bizzarro, da quegli intellettuali che, come spesso accade nelle cerchie ristrette di potere, hanno la spiacevole tendenza a coalizzarsi contro chi attenta alle regole cartesiane della cultura ufficiale.

Lo stesso Campana ritenne poi queste lettere "fatte per essere bruciate": ma a settantacinque anni dalla morte del poeta, vale la pena ricordare che in uno dei suoi ultimi messaggi, indirizzato all'amico Bino Binazzi dal cronicario di Castel Pulci, scrisse: "Tutto va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili".

DINO CAMPANA
"Io poeta notturno"
Via del Vento,
pp.32, euro 4