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FLEET FOXES Helplessness Blues

 

Anno di pubblicazione: Maggio 2011

Etichetta: Sub Pop/Bella Union

Provenienza: Washington (U.S.)

Genere: Folk/Pop

Voto: ***

Brani migliori: Montezuma, Battery Kinzie, Grown Ocean

 

Il secondo disco è sempre un salto nel vuoto, un momento atteso e temuto, ancora più del primo, perchè su di lui verte il destino del gruppo o dell'artista. Tutto dipende da come la critica lo prenderà e come i fans della prima ora ne saranno colpiti. Insomma, il secondo disco è quello su cui si punta tutto per confermare la propria carriera e poi si incrociano le dita e si aspetta. Per una band con i precedenti dei Fleet Foxes (ossia il successo unanime del loro primo lavoro e del precedente EP, entrambi usciti col nome di Fleet Foxes) il secondo album è veramente stato a lungo atteso (dal 2008) come la conferma di un talento genuino e solare.

Abbiamo avuto modo di ascoltare e assaporare con calma e con il dovuto senso critico tutto Helplessness Blues, dodici tracce in cui si alternano toni ovattati da lullaby (The Cascades), ammiccamenti pop (Lorelai, Someone You'd Admire) e momenti di folk che ricordano il grande passato (Montezuma, Helplessness Blues, Grown Ocean).

È un lavoro compatto, con un sound nostalgico rivolto ai magici Sixties e, nonostante la sua gestazione non sia stata del tutto lineare né semplice, è un lavoro che conferma le potenzialità della band di Seattle, lasciando però uno strano retrogusto amaro. Sarà forse la voce di Pecknold, così diversa dagli album precedenti, o forse si tratta di qualcosa di insito nel cuore stesso dell'album. Come sul set di un film, dove quello che vediamo sono case, città e strade, e tutto ci sembra reale, ma basta allargare l'inquadratura per capirne la finzione. Così in questo Helplessness Blues, un buon album ad un primo ascolto; dodici tracce registrate ottimamente, come doveva essere, perfettamente costruite con strutture se non originali quanto meno interessanti, intriganti armonie vocali e suoni squisitamente retrò. Ma oltre questo? Manca quella comunicatività e quell'immediatezza che avevano fatto conquistare a Fleet Foxes il successo internazionale. Quella semplicità bucolica che aveva portato la musica della band a così meritato successo. Probabilmente la pressione è stata troppa, o i mezzi a disposizione hanno fatto un po' adagiare sugli allori la vena creativa di Robin Pecknold e soci, creando un album “da classifica”, sicuramente competitivo e accattivante, ma in definitiva, troppo costruito nella sua semplicità, troppo perfetto per essere vero, e in cui manca decisamente qualcosa di fondo.

 

 Francesca Ferrari