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John Foxx - My Lost City

 
Provenienza: Inghilterra


Anno: 2010


Genere: electroliturgies


Assomiglia a: Enya, Enigma


Voto: **1/2


Brani migliori: Holywell Lane, City of Disappearences


Un tempo leader degli Ultravox, Dennis Leigh (in arte John Foxx) è adesso un artista multimediale che affianca l'attività musicale a quella grafica e fotografica. Questo lo ha portato a dare alle sue uscite musicali (generalmente elettronica strumentale) un'impronta da architetto dei suoni, che con la musica evoca determinati ambienti e a volte, addirittura, li riproduce quadrifonicamente, ponendo l'ascoltatore in uno stato di assorta meraviglia. A volte il gioco riesce, a volte meno. Translucence con Harold Budd è un capolavoro, Mirrorball con Robin Guthrie un gran bel disco, così come il solista Tiny Color Movies. Un filo di freddezza sciupa i dischi con Louis Gordon, mentre Cathedral Oceans è un esperimento irrisolto ma affascinante.

My Lost City, invece, è un mezzo fallimento. E dispiace, perché l'idea di base non se lo meritava. Foxx ha ripescato alcuni vecchi brani composti più di vent'anni fa, quando aveva appena cominciato a lavorare nel suo "storico" studio di registrazione, in un sobborgo di Londra allora cadente e dismesso e oggi ‘hip' e alla moda. Erano brani che, nelle parole dell'autore, volevano essere "hymns for buildings and streets, wanting to connect ancient embedded church music to modern cities via electronics". Il che, in teoria, sarebbe splendido. Solo che una musica così intenzionalmente sacrale finisce purtroppo per risultare imbarazzante, e tra cori sintetizzati e organi ieratici l'effetto, più che di guardare in alto, è quello di cadere in ginocchio. Esausti.

 Luca Perlini