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PINBACK - Autumn of the seraphs

Il duo di San Diego formato nel 1998 da Armistead Burwell Smith IV e Rob Crow è già al suo quarto album, (esclusi due Ep), "Autumn Of Seraphs", tappa condivisa con Mario Rubalcaba (Rocket from the Crypt) e Chris Prescott (No Knife), che già dal titolo rivela la sua natura un po' “ispirata”. Si tratta infatti di una manciata di brani freschi, ma sognanti, dove le melodie fanno da regine, creando atmosfere viscerali, di cui si avverte l'originalità, ma al tempo stesso risvegliano sensazioni note, un che di vissuto e nostalgico.
I testi lanciano visioni, bagliori di ispirazione tra parole a volte ricercate, ma anche versi ripetuti ossessivamente, come i ritmi dolcemente incalzanti fino ai finali, a volte lunghi (come la bellissima Barnes), ma incisivi fino all'ultimo secondo; anzi spesso la canzone sale gradatamente d'intensità o crea un gioco di equilibri tra le varie parti, che a tratti si avvalgono anche dell'accompagnamento del piano (Walters).

Le sequenze di note, mai banali, sono racchiuse in strutture inaspettate, anche se pulite, così che i Pinback giocano sulla forma-canzone, contando su suoni precisi e addolciti e ritmi così semplici da spiazzare, senza paura di sfiorare il pop (da citazione quasi in Good to Sea e Blue Harvest). Ascolti parziali non potranno rivelare l'essenza della musica di Autumn Of Seraphs, che affonda sicuramente le radici in pop/rock un po' indie per stravolgerlo dolcemente.

La sensazione è generale, nasce dall'insieme dei brani, che avanzano uno dopo l'altro intimi e senza fretta, come i singoli elementi all'interno dei pezzi, che con cura creano un effetto finale inaspettato. E' come se i musicisti sfruttassero la semplicità di ogni tratto, esaltandone la limpidezza, lasciando che da sola si materializzi la forma finale, senza forzature.

Il risultato è sottile, ma notevole. C'è sostanza, profondità, e la cosa ammirevole è che non c'è bisogno di scavarla, perchè è questa sorta di purezza, la semplicità di una musica suonata con sapienza e delicatezza, a far scaturire da sola immagini ad un orecchio sensibile.

Irene Rossi