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THE NATIONAL - Boxer

Per una volta fatemi un piacere: mettete da parte il binomio leader = cantante. In questo quarto disco dei The National le parti del protagonista le veste il batterista. Se ascoltate il disco attentamente come merita di essere fatto vi accorgerete che la batteria è spesso messa molto in risalto e raramente viene usata solo come "tempometro". Se durante la produzione si fa una cosa del genere vuol dire che il batterista sa suonare molto bene. Più per merito che per dovere di cronaca sappiate anche il nome di questo musicista: Bryan Devendorf. Grazie per la collaborazione, ora possiamo riprendere il binomio a cui eravamo affezionati.
Matt Berninger, compositore di punta e voce di questo collettivo
newyorkese ha una voce molto profonda e baritonale che, come confermano le altre recensioni leggibili su internet ricorda molto
la voce di Nick Cave. Quello migliore. Non dimostra di avere
particolari estensioni ma per il tipo di canzoni e atmosfere che si
respirano tra le dodici tracce di questo lavoro è semplicemente perfetto.
Si parla di influenze marcatamente new-wave ma forse qui siamo davanti ad un filone che potremmo definire New-new-wave di cui loro sono sicuramente la punta di diamante di una formazione molto valida che comprende tra le sue fila formazioni tipo gli Editors o gli Interpol, solo per citare quelli che fanno più mercato. 
Primi ascolti da fare sicuramente in completa solitudine, perfetto compagno di viaggi notturni, di attese in condizioni metereologiche
pessime, questo disco risulta perfetto per le ore notturne e via via che lo ascolterete apprezzerete quanto sia sempre più bello. Questo disco vi darà la voglia di cercare su internet tutte le notizie su questa non troppo conosciuta band americana. Scoprirete allora che il cantante ha problemi di alcol e droga e non vi stupirete, perchè dai testi, dalle musiche, traspare evidente che è cantato con passionale sofferenza. E vi verrà la voglia di comprarvi i tre precedenti album e scoprirete che quello che avete avuto per primo tra le mani è solo un altro meraviglioso tassello di una discografia eccellente.

Scavando nelle 12 bellissime tracce, non si può non restare abbagliati dalla bellezza compositiva riservata all'open track Fake Empire dove si capisce subito che la batteria la farà da padrona. Mistaken For Strangers, un po' più ritmata della precedente è un gran pezzo e la successiva Brainy è forse uno dei pezzi più belli dell'anno. Il disco parte bene, scorre bene e tocca vette musicali con brani come Squalor Victoria e la poetica Slow Show. Berninger ci da una lezione di romanticismo: rubate pure questa sua frase per far colpo "Ti ho sognato per ventinove anni, prima di vederti". La seconda parte conferma quanto scritto e ascoltato nella prima con Guest Room che sicuramente sarà la traccia che più vi impressionerà. Da segnalare anche la presenza dell'onnipresente (a livello indie) Sufjan Steven (sarà mica figlio illegittimo di Carlos Santana?) che suona il piano in Ada. Il disco si chiude con la delicata malinconia di Gospel.

Concludendo semplicemente: Un gran bel disco. Vogliamo però trovare un difetto? Ok, sforziamoci. Ah si, eccolo qui: nel cd originale non ci sono i testi e neanche nel loro sito ufficiale. Ovvio che in un mondo in cui viaggiano tetrabyte di informazioni su internet si possano reperire ma un po' di rispetto in più per chi paga ci vorrebbe sempre. E' un difetto veniale che non scalfisce però la qualità dell'opera.

Andrea Olmi