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TIM BUCKLEY - Happy Sad

Musica libera e forte, quella di Tim Buckley. Come per molti, in verità, nella California degli anni Sessanta. Buckley, però, era speciale. Aveva una voce da brivido, paragonabile, con qualche verosimiglianza, alla chitarra di Hendrix o al sax di Coltrane per effetto ed intensità. E poi sperimentava. Sempre. Anche meglio dei suoi grandi maestri, Fred Neil e Tim Hardin.
Dal folk di partenza al jazz, a certa classica e al canto lirico, tutto faceva parte di una sua visione che sentì di non raggiungere mai appieno (se non, ironia della sorte, nei suoi dischi meno apprezzati, Lorca e Starsailor). Molto sixties, certamente. Fuori moda, senz’altro, nel mondo dei Ben Harper. 
 Sixties si rivelò, del resto, anche la sua vita di artista ‘maledetto’ e senza compromessi, dalla moglie abbandonata con bimbo appena nato (il futuro Jeff Buckley) ai conflitti con le case discografiche e agli eccessi con le droghe (che avrebbero finito per ucciderlo). Ne risultò, comunque, una musica splendida e particolare che, come ebbe a dire il buon Bertoncelli, sembrava tessuta con seta celeste e che suona, tuttora, modernissima. Di questa musica, talvolta delicata fino all’estenuazione ed altre volte, invece, violenta e parossistica, Happy Sad rimane il capolavoro. Un disco, davvero, da isola deserta.
Buckley (voce e chitarra acustica a 12 corde) si fa qui accompagnare dal fido Lee Underwood (chitarra elettrica), da David Friedman (marimba e vibrafono), dal basso di John Miller e dalle congas di Carter C.C. Collins.

Le canzoni sono lunghe e vibranti: Strange Feeling si dipana sinuosa sul groove di So What di Miles Davis, Buzzin’ Fly mantiene un accattivante ritmo jazz mentre Buckley sopra ricama gorgheggi da par suo, Dream Letter è una toccante lettera in musica al figlio Jeff. E poi i due capolavori da 10 minuti e oltre: l’indiavolata danza da derviscio
rotante di Gypsy Woman e l’incantesimo per chitarre, vibrafono, onde, voce e risacca di Love From Room 109 at the Islander (On Pacific Coast Highway), brano dalla bellezza micidiale e, insieme, una delle serenate più romantiche che mai disco abbia trasmesso.

Non ci sarà più niente del genere, in musica. Fino al 1994. A Grace. E a un altro Buckley.

Luca Perlini