"Mosso da quel desiderio, che in noi naturalmente s'annida, di sapere, come c'insegna il Prencipe de Filosofi, io infino dalla fanciullezza mia procurai di conversare con huomini intelligenti della Musica, & da suoi dotti discorsi imparare ciò, che desideravo sapere sì del comporre à piu voci, come al cantar solo". Così scrive di sé, della sua formazione, Sigismondo d'India nella prefazione che introduce "il cortese lettore" al primo libro delle sue "Musiche da cantar solo nel clavicordo, chitarrone, arpa doppia et altri istromenti simili". Il libro è stampato a Milano, nel febbraio del 1609. Ma la vita di Sigismondo, "Nobile Palermitano", cominciò nel capoluogo siciliano probabilmente nel 1582. Pur essendo stato un grande protagonista di quella fase di incandescenza creativa che fu il primo Seicento italiano, le poche righe citate, dalle quali traspare il desiderio di proclamarsi istruito dalla conversazione più che appartenere a una scuola, sono le sole notizie sulla sua formazione. E' possibile che sia stato educato alla musica a Napoli alla fine del Cinquecento, allorquando erano attivi in città Carlo Gesualdo e Giovanni de Macque, maestri dello stile cromatico, le cui potenzialità Sigismondo esplorerà a fondo nelle sue musiche da cantar solo. Tra il 1600 e il 1610 visitò le città più importanti per lo sviluppo del nuovo stile monodico accompagnato da uno strumento d'armonia. Fu a Firenze, dove certamente conobbe Caccini e Peri, a Mantova, la città di Monteverdi, e quindi Roma, Napoli, Parma e Piacenza, al cui Duca è dedicato il primo libro. Dopo tanto vagare, nel 1611 trovò finalmente un impiego a Torino come direttore della musica da camera di Carlo Emanuele I, Duca di Savoia. Fu il periodo più prolifico, che si protrasse fino al 1623. Obbligato a lasciare Torino per intrighi di corte, ricominciò a vagare tra l'Emilia e Roma. Morì a Modena nel 1629. La musica che ascolteremo è tratta dai cinque libri che Sigismondo dedica alle "musiche da cantar solo". L'insieme dei libri è un'esplorazione di tutte le forme della monodia accompagnata: arie, bassi ostinati, lamenti, sonetti, canzonette. Come i suoi illustri contemporanei Caccini e Monteverdi, Sigismondo fa della parola, dell'"orazione", il centro della composizione musicale: "ritrovai che si poteva comporre nella vera maniera con intervalli non ordinarij, passando con più novità possibili da una consonanza all'altra, secondo la varietà dei sensi delle parole, & che per questo mezzo i canti havrebbono maggior affetto, & maggior forza nel movere gli affetti dell'animo". Forse nessuno come Sigismondo ha espresso la forza drammatica delle parole andando così a fondo nell'utilizzo del cromatismo nelle composizioni per una voce e basso continuo. Specialmente nei lamenti di amanti infelici, contorce la melodia e l'armonia stirandola di un semitono per dar forza e verosimiglianza al dolore. Il suo senso drammatico e teatrale lo pone accanto ai grandi compositori italiani del periodo e i suoi lunghi e tormentati lamenti (Olimpia, Didone) sarebbero perfetti all'interno di un'opera. Sigismondo fu anche autore di alcuni dei testi che mise in musica, ma per lo più attinse ai migliori poeti a lui contemporanei (Rinuccini, Guarini and Marino) e naturalmente a Petrarca. Alla fine del Cinquecento, il sogno - eterno nella cultura occidentale - del ritorno alla grandezza e alla potenza della musica dei Greci, il sogno di far rinascere Orfeo, prende le forme della monodia accompagnata. Cioè un cantante accompagnato da uno strumento, appunto come Orfeo si accompagnava colla sua cetra. Così nacque il Chitarrone, da Kithara, cetra: la nuova cetra di Orfeo. Naturalmente, prestissimo il Chitarrone ha un grande successo anche come strumento solistico. Piccinini e Kapsberger, le cui composizioni si alternano a quelle di Sigismondo, sono i due più noti tra gli italiani che vi si dedicarono. Chitarrone e tiorba sono sinonimi e "Cara mia cetra" è il primo brano del primo libro di Sigismondo. La nostra scelta di eseguire le sue "musiche da cantar solo" con il basso continuo realizzato dalla sola tiorba vuole dunque provare a restituire l'ideale sonoro, il miraggio di Orfeo, da cui nacque la "nuova musica". " |